Il 25% dei nostri laureati ha più qualifiche rispetto al ruolo che ricopre. Come valorizzare i talenti italiani ed evitare le fughe di cervelli?
I laureati sono pochi, ma molto preparati! Il mercato del lavoro in Italia è ricco di contraddizioni ma, anche, di sorprese. C’è poco personale da assumere, con tutti gli effetti negativi sulle imprese e l’economia del Paese. Recentemente è stato pubblicato il rapporto Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) da cui emerge la difficoltà di trovare lavoratori qualificati da parte delle imprese europee (54%). Ed è un problema non da poco, perché nell’ultimo decennio i lavori ad alta professionalità hanno sostituito quelli di livello medio, per cui il 55% dei lavoratori è assunto in ruoli di questo tipo.
L’Italia si caratterizza per la presenza di pochi laureati rispetto agli altri Paesi. Però, poiché ci distinguiamo per la creatività e bizzarria, i pochi laureati sono, comunque, troppi per le esigenze del mercato del lavoro nazionale. Infatti, il tasso di occupazione dei laureati è il più basso in Europa, ma è, anche, una percentuale con alte qualifiche tra le più alte d’Europa. Pochi ma buoni, come recita un proverbiale motto popolare. In questo caso, la verità è un’altra. Secondo i dati dell’Ocse e di Eurostat (l’ufficio statistico europeo) gli italiani con titolo di studio terziario sono il 31% contro il 43% della media europea.
Inoltre, il tasso di occupazione a tre anni dalla laurea è il più basso dopo la Grecia. Infine, quando il miraggio del posto di lavoro è a portata di mano, risultano troppo preparati per la posizione che occupano. I lavoratori in questo ruolo sono il 25% in media e presenti in molti settori con percentuali variabili, tra cui: commercio all’ingrosso e dettaglio; trasporto e magazzinaggio; agenzie di viaggi e servizi alle imprese, servizio di alloggio e ristorazione col l’85%, dove a pagare il costo più alto sono le donne che raggiungono il 92%. Vale a dire che su 100 laureate impiegate 92 sono in possesso di competenze superiori al lavoro che svolgono.
E’ come se esistesse una dissonanza tra il sistema imprenditoriale e quello formativo. Nel senso che i giovani raggiungono la laurea, ma non soddisfano le esigenze del mercato del lavoro. Non è che le imprese nel loro complesso, dovrebbero investire maggiormente in ricerca e sviluppo? In questo contesto non ci si può stupire se gli stipendi sono inferiori alla media europea, pari al 10,5% al mese. Ci fanno compagnia la Francia e la Spagna, ma i loro tassi di occupazione sono maggiori del nostro Paese. Il rapporto dell’Ocse ha evidenziato che anche lo studio per settore di attività ha mostrato segnali contraddittori e ambigui.
L’aspetto più controverso è il tasso di sovra-qualificazione per retribuzioni basse, perché in questi casi essere troppo preparati nuoce al lavoro che si svolge e questo, come abbiamo visto, riguarda un po’ tutte le attività. Il problema, sicuramente non è di facile soluzione, ma dei tentativi vanno compiuti, se non si vuole che, alla fine, i nostri migliori laureati continuino ad andare all’estero dove ci sono più allettanti condizioni di lavoro e di retribuzione. In questo modo il nostro Paese subirà un deciso depauperamento con tutti gli svantaggi per la società nel suo complesso. Solo un vero Progetto di politica sociale ed economica potrà dare la svolta alla strada intrapresa. Iniziando da una seria riforma della formazione che possa produrre più laureati e le aziende dovrebbero, senza aspettare l’aiutino di babbo Stato, industriarsi per essere competitive sul mercato. Altrimenti è la fine!