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L’arte dei “dritti” lungo le rive del fiume: cesti, scope e cordami dalla canapa

Un viaggio nel passato delle rive del Po: l’abilità degli artigiani e la versatilità della canapa nell’economia locale.

Castelporzone Sulle rive del fiume si raccoglievano anche varie erbe e arbusti che venivano intrecciati e utilizzati in molti modi. Anzitutto l’erba lisca, che cresce di preferenza in zone molto umide, come quelle nei pressi delle lanche. Si raccoglievano gli steli più alti che, tagliati col falcetto, erano legati in fasci e lasciati ad essiccare al sole sul posto, per qualche giorno. L’erba lisca serviva soprattutto agli impagliatori di sedie. Crescevano abbondanti anche le saggine (con cui si confezionavano scope) e i salici, i cui pieghevoli rami esperti artigiani intrecciavano in cesti e sporte di ogni dimensione.

Cesti, scope, corde

Ovunque nella bassa lombarda, lungo le rive del Po, si fabbricavano cesti e scope con le saggine. Castelporzone era il paese dei cordai. Lavoravano manualmente la canapa o più recentemente altre fibre di recupero. I cordai di Castelporzone vendevano a negozi di ferramenta, droghieri e sellai di Pavia, Cremona, Brescia e Parma, o nei grandi centri agricoli come Casalmaggiore e Piadena. Ne parla Glauco Sanga in “Cremona e il suo territorio”:

«Il rapporto di lavoro era tra il padrone e l’operaio cordaio, ma la lavorazione impegnava tutta la famiglia», sia pure con diverse suddivisioni: «l’uomo (il cordaio) faceva i lavori più specializzati e più faticosi, la filatura e la lucidatura. I bambini (pütéi) giravano la ruota e tenevano il garbél. Le donne giravano la ruota, ma per lo più stavano a casa a spinà (pettinare la canapa con lo spinàs, aiutate in parte dagli stessi cordai, oltre che a fare i lavori domestici e a preparare i pasti». Gli orari di lavoro «erano pesantissimi. Di norma ci si alzava alle due del mattino per preparare la canapa (pettinatura); alle prime luci dell’alba si andava a filare lungo il sentéer, dove il lavoro durava fino al tramonto».

La stima di Coldiretti

La coltivazione della canapa

Secondo una stima di Coldiretti, in Lombardia tra il 2014 e il 2018 si è avuto un aumento del 600 per cento dei terreni coltivati a canapa (da 23 a 166 ettari). Oggi da questa pianta assai versatile possiamo ricavare tessuti, alimenti, medicinali, cosmetici, carte, plastiche, rivestimenti per l’edilizia e molti altri prodotti. Ma a quel tempo i semi di canapa venivano dati come mangime agli uccelli, oppure seminati per ricavarne cordame o suole di corda per le scarpe di tela. Di regola, a Castelporzone la semina della canapa avveniva ad aprile; al suo taglio quasi rasente il suolo si provvedeva dopo tre mesi. Nulla veniva buttato: i semi erano estratti a mano oppure battendoli, come si battevano i covoni di grano, su un piano rigido; gli steli legnosi erano messi a fermentare per 30-40 giorni nell’acqua stagnante o nel canale Delmonazza, così da agevolare la separazione dei fasci fibrosi.


Una volta asciugati i fasci, si provvedeva alla scavezzatura. Come ha osservato l’etnologo e linguista svizzero Paul Scheuermeier (autore di una approfondita ricerca sul lavoro dei contadini italiani), la scavezzatura:

«è un procedimento molto elementare e lento. Il lavoro si svolge più velocemente quando la canapa viene lavorata in mannelli. Infatti gli steli di canapa vengono maciullati con un attrezzo, la gramola, anziché a mano. Però spesso la canapa viene stigliata inizialmente da una persona che spinge su un supporto un lungo mannello di canapa intera, mentre un’altra o altre due battono con uno strumento apposito sul mannello, dirompendo così gli steli di canapa pezzo per pezzo, mentre le parti legnose cadono a terra».

Attrezzi per la lavorazione della canapa


A volte la gramolatura della canapa può sostituire la scavezzatura, ma solo nelle zone dove abitualmente la strigliatura non viene praticata. Dopo la gramolatura, sulle fibre permanevano piccoli frammenti legnosi; per asportarli e per rendere le fibre più morbide ed elastiche, in alcune zone d’Italia si faceva allora la spatolatura, lisciando la canapa appesa con un coltello di legno a filo tagliente e premendo contemporaneamente la canapa contro il coltello. E siamo alla pettinatura, l’ultima operazione necessaria per togliere le impurità. La pettinatura, scrive Scheuermeier: «non è solo un lavoro faticoso, perché produce molta polvere, ma richiede anche una certa abilità per non danneggiare le fibre». Per questo motivo, la pettinatura veniva di sovente affidata a professionisti o a donne particolarmente abili con i vari tipi di pettine.

Il paese dei “dritti”

Insieme a Gambolò, Castelponzone viene ricordato da Glauco Sanga come il «paese dei dritti», ovvero abitato da persone inclini a farsi beffe dei gonzi. L’elenco proposto dallo studioso abbraccia anche Pozzolo Formigaro in provincia di Alessandria, Vescovato presso Cremona e Sant’Angelo Lodigiano. Erano paesi popolati da marginali borderline, in continuo movimento, «quelli che nel periodo di passaggio dall’età medievale all’età moderna non vivevano del lavoro della terra, ma si dedicavano ad altre svariate attività che si potrebbero definire “di servizio”» (Sanga), attività alternative alle consolidate forme di reddito o agricolo o industriale, e per questo motivo i loro abitanti venivano considerati “ladri e furfanti”. «Né Castelponzone né gli altri “paesi di ladri” sono paesi di contadini; le attività economiche erano altre»: ad esempio lo spettacolo, come a Gambolò, il paese dei giostrai e – nonostante divisioni e contraddizioni – il paese della convivenza e della solidarietà.

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