Il Guardasigilli: “Al lavoro per dolo specifico e non generico”. Devis Dori ribatte: “Nonostante i paletti del ministro siamo preoccupati”.
Roma – “Il governo è al lavoro per modificare il reato di tortura adeguandolo ai requisiti previsti dalla convenzione di New York”. Lo annuncia il ministro della Giustizia Carlo Nordio, durante il question time alla Camera, dove ha tracciato a grandi linee come voglia procedere: “Il reato di tortura – dice – così come è stato individuato dalla Convenzione di New York presuppone il dolo specifico, nel senso che il trattamento inumano e degradante deve essere inflitto al fine di ottenere un determinato risultato, mentre nella normativa italiana è un dolo generico”.
Poi prosegue il Guardasigilli: “Non stiamo sottovalutando il problema del trattamento inumano che non può e non deve essere mai inflitto a nessun detenuto, stiamo solo cercando di rimodulare il reato adeguandolo” a quella convenzione affinché “venga individuato come elemento strutturale e soggettivo non il dolo generico ma il dolo specifico”. Nordio parla poi della Cedu che in molte occasioni “ha qualificato come trattamenti inumani e degradanti l’eccesso nell’uso della forza da parte della polizia, ma non come tortura”, ha precisato ribadendo che l’intenzione del governo è “semplicemente attuare una revisione di ordine tecnico perché questo reato così come è strutturato adesso manca dei caratteri di tipicità, tassatività e determinatezza”.
Primo firmatario dell’interrogazione posta al Guardasigilli, Devis Dori, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra in Commissione Giustizia: “A fronte dei fatti gravissimi avvenuti nelle nostre carceri, in particolare di recente a Reggio Emilia – afferma Dori – il ministro conferma l’intenzione di modificare il reato di tortura, parlando dell’introduzione del dolo specifico al posto di quello generico che prevede oggi la nostra legge. La destra – prosegue – ha già presentato le sue proposte al Senato è iniziato l’iter legislativo. Nonostante i paletti indicati dal ministro, siamo molto preoccupati, depotenziare il reato di tortura è un fatto grave. Siamo colpiti dalle immagini di Ilaria Salis in catene, ma temiamo che passi indietro su quella norma porterebbero il nostro paese non troppo lontano da quelle pratiche”.
Sono sotto gli occhi di tutti le immagini choc del pestaggio avvenuto nel carcere di Reggio Emilia. Un video dello scorso aprile, dove sono documentate torture su un detenuto, un 43enne tunisino. Immagini “inaccettabili” che nel governo hanno provocato “sdegno”. “Sdegno e dolore – aveva commentato Nordio – sono immagini indegne per uno Stato democratico. L’amministrazione penitenziaria tutta è la prima ad auspicare che si faccia luce fino in fondo sulla vicenda: siamo impegnati a garantire la legalità in ogni angolo di ogni istituto”.
A descrivere le “gravi situazioni” nel carcere di Reggio Emilia era stata poi la senatrice Ilaria Cucchi, da sempre impegnata su questo fronte dopo la morte del fratello Stefano. La senatrice ha visitato l’istituto la scorsa primavera, proprio a seguito della segnalazione di quel caso: “Lì ci sono diverse criticità, durante la mia ispezione ho trovato detenuti in condizioni disumane: alcuni con i propri escrementi nella stessa cella. Il problema in genere riguarda i nuovi arrivi, quelli maggiormente esposti anche al rischio di suicidio”. Del tema caldissimo dello stato delle carceri si è interessato in queste ore anche il capo dello Stato, “preoccupato” per il fenomeno del sovraffollamento e per le morti in cella.
E ora l’annuncio di Nordio. Ma cosa dice la Convenzione di New York? Adottata dall’Assemblea generale dell’Onu il 10 dicembre 1984, obbliga gli Stati parte a impedire e a punire la tortura, comprese altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. In quelle pagine è sancito il divieto assoluto di tortura, il divieto di estradizione di una persona verso un altro Stato qualora vi siano serie ragioni per ritenere che rischi di essere sottoposta a tortura, il principio del “non-refoulement” o non respingimento.
Ma il problema principale per la Convenzione del 1984 e relativo Protocollo riguarda la loro attuazione nell’ordinamento italiano. L’articolo 1 definisce la tortura come ogni atto volto ad infliggere intenzionalmente forti sofferenze fisiche o mentali ad una persona allo scopo di ottenere informazioni o confessioni o di punirla. Il reato di tortura, che oggi il governo vuole adeguare alla Convenzione, è una novità degli ultimi anni del codice penale italiano. Punisce chi, con violenze o minacce gravi, o agendo con crudeltà, causa acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, assistenza, controllo o cura, o anche chi si trovi in una situazione di minorata difesa se il fatto è commesso con più condotte o comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.
Il reato è contenuto nell’articolo 613 bis (tortura) e 613 ter (istigazione alla tortura) del codice penale, nella parte dedicata ai delitti contro la persona e in particolare contro la libertà morale: è stato introdotto nel 2017, con la legge 110. Si tratta di una normativa anche più specifica della Convenzione, che all’articolo 1 prevede per parlare di tortura una condotta libera da parte di chi compie il reato, mentre la legge italiana prevede che la tortura sia compiuta con violenze, minacce gravi, crudeltà (cioè trattamento inumano e degradante). E non è sufficiente nemmeno un singolo episodio: la norma parla di pluralità di condotte (eventualmente pure contestuali), dunque un solo atto di violenza fisica o minaccia non è una tortura.
Ad aprile del 2022 il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura (Cpt) del Consiglio d’Europa aveva svolto una visita in Italia dove, tra le altre strutture, aveva visitato anche quattro carceri: San Vittore a Milano, l’istituto di Monza, il Lorusso e Cutugno a Torino e Regina Coeli a Roma. La situazione di sovraffollamento ammontava al 114%, tanto che il Cpt aveva ribadito la necessità di adottare una strategia coerente per assicurare che la detenzione fosse una misura di ultima istanza. Sul tema delle violenze aveva redatto una specifica raccomandazione al personale medico per la corretta refertazione delle lesioni. Troppo spesso si è assistito a indagini e processi nei quali i medici erano chiamati a rispondere di omissioni nei referti a seguito di presunti o comprovati casi di violenze”.