In linea generale l’amicizia potrebbe essere definita come “una relazione tra due persone, spesso dello stesso sesso, tra cui c’è una carica emotiva ed è basata sul rispetto, la sincerità, la fiducia e la disponibilità reciproca”. E c’è un periodo più fecondo per coltivarla.
Roma – Pare che l’amicizia si sviluppi in età giovanile, fino ai 25 anni. In seguito si entra nell’età lavorativa in cui si comincia a fare alcune scelte, come mantenere le amicizie che sono più vicine ed affini a noi. Ma questo aspetto potrebbe rivelarsi persino benefico. Alla base dell’amicizia c’è il concetto di attaccamento, ovvero secondo la psicologia sociale: “Un sistema collegato alla biologia e alla genetica, che ci porta ad avere contatti sociali ed è fondamentale per la stessa sopravvivenza della specie”.
“Esso evolve nei primi contatti tra madre, o chi ne fa le veci, e bambino, quando sono essenziali la cura e il supporto al neonato. Questa esperienza sarà fondamentale per le future interazioni. Si nasce col bisogno biologico di ottenere cura ma anche di fornirla al prossimo. Da bambino rappresenta un bisogno fisico, con la crescita diventa più psicologico.”
Le amicizie cessano perché si cresce e cambiano i contesti. C’è chi si trasferisce altrove per motivi di lavoro, un altro mette su famiglia, un altro ancora ha l’agenda fitta di impegni inderogabili. È facile, in questa fase, che ci si possa buttare giù, anche perché è complicato crearsi nuove relazioni amicali. In realtà ci troviamo di fronte a una maturazione emotiva e professionale, che porta amicizie più libere. Nel senso che si sta insieme senza obblighi ma, si può scegliere anche di preferire altri impegni o altre situazioni. Inoltre, il tempo per le amicizie viene assorbito anche da altri due tipi di relazione: quelle sentimentali e quelle nei confronti di sé.
In una ricerca del 2019 è emerso che l’amicizia decresce dopo i 25 anni, ma non intacca la soddisfazione sociale che dipende dalla qualità delle relazioni che si hanno. Le amicizie in età adulta possono essere catalogate in tre categorie: attive, dormienti e commemorative. Le prime sono fondate su un notevole supporto emotivo. Le seconde sono quelle con cui non ci si sente spesso, ma si ha il piacere di rincontrare. Le ultime sono quelle con cui non si hanno più contatti, ma con le quali si aveva un intenso rapporto. Questa catalogazione è, com’è ovvio che sia, fluttuante. Nel senso che si può saltare da una categoria ad un’altra con facilità in relazione alle circostanze.
La convinzione popolare è del parere che le amicizie restano per tutta la vita. In realtà, gli individui scelgono gli amici in modo diverso e anche l’attaccamento, fondamentale sin dalla nascita, muta e si modifica nel tempo. Si è constatato, infine, che le amicizie più durature si fondano su un linguaggio comune, che aiuta la condivisione e l’appartenenza. Quest’aspetto produce un più agevole modo di comprendersi e confrontarsi. È come quando si dice di “stare a proprio agio” e la relazione, di conseguenza, si fa più piacevole. La condivisione dell’amicizia è strettamente legata alla sicurezza identitaria. Sorge dalla consapevolezza si sapere chi si è e con chi ci si vuole relazionare. Infatti, si preferisce frequentare le persone che fanno stare bene.
In età adulta si preferisce frequentare persone che si conoscono da tempo e ad eludere ambienti nuovi, pur sapendo che si può incontrare gente con interessi in comune. L’amicizia va coltivata, con amore e cura, così come facevano i contadini di un tempo, quando aravano i campi. Eppure bisogna stare attenti. Purché non capiti come nella canzone di Dario Vergassola, noto cabarettista e cantautore, in cui il protagonista era depresso perché la sua compagna faceva l’amore con Mario, suo migliore amico. L’analista gli consigliò di trovarsi un amico, ma lui rispose: “Mi è già bastato Mario!“.