E’ sempre stata un continente poco stabile dal punto di vista politico, soggetta a continui colpi di stato militari che hanno cambiato repentinamente la struttura del potere. Un particolare è balzato agli onori della cronaca.
Roma – Negli ultimi anni ben cinque Paesi francofoni, ovvero che hanno come lingua principale il francese, hanno subito dei colpi di stato militari. Si tratta di Guinea, Mali, Burkina Faso, Niger e buon ultimo (si fa per dire) il Gabon, lo scorso 30 agosto. Su un fatto del genere si possono fare molte congetture e valutazioni approssimative. Tra queste, che si tratta di una sorta di epidemia golpista diffusasi più velocemente del Covid-19. Oppure che ci sia lo zampino di Putin o un’interferenza della Francia. Ma un dato è incontrovertibile, ovvero il naufragio politico degli Stati postcoloniali, venuti alla luce sotto l’influsso francese, dapprima come Stati autoritari e poi democratici o quasi.
La politica coloniale è continuata, in realtà, con altri strumenti, appoggiando regimi militari per garantire, comunque, l’influenza francese sotto le mentite spoglie di una sorta di sovranità. Più che di democrazia, questi Stati hanno assunto la forma di autocrazie, dove l’alternanza politica è stata bandita, senza alcun tipo di contropotere e con una corruzione dilagante. Questo meccanismo, però, sta deflagrando con effetti devastanti. E il Gabon può essere preso a modello di questa situazione. Appoggiato dalla Francia, Omar Bongo (padre), nel 1965 sostituì il primo presidente del Paese ed è rimasto in carica fino alla morte nel 2009, proprio come un regnante. In seguito è stato rimpiazzato dal figlio Ali Bongo Ondimba che è durato fino allo scorso 30 agosto. Una continuità familiare durata all’incirca sessant’anni.
Certamente non è questa l’unica spiegazione di quello che è avvenuto, ma ci aiuta a capire la gioia popolare scaturita dopo il golpe. Forse, non rendendosi conto, di essere passati dalla padella alla brace, chissà! Sin dalle origini della sovranità del Gabon, la Francia ha sempre guardato di “buon occhio” il regime al potere, intrattenendo forti relazioni politiche, militari e commerciali, soprattutto nel campo “energetico” con l’allora compagnia petrolifera francese, l’Elf. A dimostrazione che le grandi democrazie europee, quando si tratta d’affari si alleano pure col diavolo, pur di raggiungere i propri interessi. Alla faccia della propria civiltà e cultura! La caduta del muro di Berlino, nel 1989, rappresentò uno spartiacque per la politica francese.
L’allora presidente Mitterrand limitò le relazioni coi Paesi africani alla loro “democratizzazione”. Ma come abbiamo visto, si è trattato di un cambiamento di facciata, come nel caso del Gabon. C’è da segnalare che la Francia ha ridotto la sua influenza politica ed economica, rispetto al passato. Si sta facendo avanti, con passi poderosi, la Cina, assumendo un ruolo rilevante in gran parte del “continente nero”. Ma tanti anni di dominio, anche culturale, francese, si avverte ancora sul quadro istituzionale e sulla compattezza dei gruppi di potere. C’è un paradosso evidente: le nuove generazioni mal sopportano il malcostume della classe politica e vedono i militari, come la soluzione ai loro problemi.
Achille Mbembe, filosofo, africanista e storico camerunese, con dottorato alla Sorbona, considerato uno dei più importanti teorici viventi del postcolonialismo, ha recentemente dichiarato: “I golpe appaiono come l’unico modo di provocare un cambiamento, di assicurare una forma di alternanza al vertice dello stato e di accelerare la transizione generazionale”. Tre condizioni che sono state poco considerate, ma che oggi presentano il conto, coi nodi che vengono al pettine.