La tragedia dei “rei folli”: Antigone, il 12% dietro le sbarre con una diagnosi grave

L’ultima aggressione ad Ascoli Piceno di un recluso con problemi a due agenti riapre la discussione su un’emergenza nell’emergenza.

Ascoli Piceno – “Ascoli sta vivendo un momento di alta tensione per la presenza di soggetti psichiatrici e che mettono a repentaglio la sicurezza della struttura”. E’ la denuncia del Sindacato autonomo polizia penitenziaria dopo l’aggressione, avvenuta all’interno della casa circondariale di Ascoli Piceno, a due agenti da parte di un detenuto psichiatrico costata la frattura del setto nasale a due agenti, uno perde anche tre denti. “Fino ad oggi – sottolineano il coordinatore interregionale del Sappe Francesco Campobasso e del dirigente Donatello Di Marzio – non è stato fatto nulla per trovare una soluzione alle scelta folle e sconsiderata di chiudere gli ospedali psichiatrici giudiziari”, sollecitata da anni dal Sappe anche alla luce delle numerose aggressioni subìte dai baschi azzurri.

Il leader nazionale del Sappe, Donato Capece, torna a sollecitare più tecnologia e più investimenti per il sistema carcere: “la situazione resta allarmante, anche se gli uomini e le donne della Polizia penitenziaria garantiscono ordine e sicurezza pur a fronte di condizioni di lavoro particolarmente stressanti e gravose. I decreti svuota-carceri, che più di qualcuno continua ad invocare ad ogni piè sospinto, da soli non
servono: serve una riforma strutturale dell’esecuzione, serve il taser per potersi difendere dai detenuti violenti e la dotazione di body-cam”. Nel ventesimo Rapporto di Antigone sulle condizioni nelle carceri, si sottolinea la presenza di un diffuso disagio psichico che “rimane una delle problematiche più spesso segnalata all’Osservatorio di Antigone: il 12% delle persone detenute (quasi 6.000 persone) ha una diagnosi psichiatrica grave (l’anno scorso era il 10%).

È questo il dato raccolto dagli Osservatori dell’associazione nelle 99 visite effettuate nel 2024. Ma “gli Osservatori – si fa notare – non sono epidemiologi e il senso dello sguardo di Antigone non è quello medico-sanitario, dunque non serve contestare la raffinatezza di quel dato. È vero, potrebbe essere più preciso, anzi dovrebbe esserlo, se solo i ministeri della salute e della giustizia si decidessero a affrontare con più rigore la questione. Quel dato ci dice moltissimo sul “governo” del carcere e della penalità nel nostro Paese e ci riporta alle fondamentali riflessioni critiche del criminologo Vincenzo Ruggiero sul carcere come “fabbrica di handicap” e sul suo carattere intrinsecamente “patogeno” (Gallo e Ruggiero, 1989). Il carcere è tossico, nuoce alla salute, soprattutto quella mentale. Occorre partire da qui per capire davvero qualcosa sui rapporti tra detenzione e salute mentale”.

Se “agli operatori il problema appare chiarissimo, – prosegue il Rapporto – la reazione diffusa del decisore politico è quella di vedere la causa principale di questo diffuso disagio la chiusura degli Ospedali Psichiatrici giudiziari, che hanno smesso di esistere per legge nel 2014 e per davvero nel 2017. Gli Opg erano infatti l’ “istituzione di scarico” a cui inviare le persone detenute con disagio psichico di più difficile gestione. A partire dalle l. 9/2012 e, poi, definitivamente, con la l. 81/2014 per le persone con disagio psichico che già si trovano in carcere (i “rei-folli”, come li definisce, ancora oggi, il gergo penalistico) devono essere trovati gli strumenti di cura esclusivamente all’interno del sistema penitenziario. 

Oggi dunque, “per la persona detenuta con disagio psichico dichiarata capace di intendere e volere esistono due principali soluzioni. Una è fuori dal carcere, qualora la patologia psichica lo renda “incompatibile” con l’ambiente carcerario. E’ questa una strada percorribile, da quando nel 2019 è intervenuta la Corte Costituzionale (sent. n. 99/2019). L’altra strada – che è anche la più frequente – è che la patologia psichica venga ‘trattata’ dentro al carcere. Ed è qui che il carcere dimostra tutta la sua inadeguatezza di spazi, professionalità e risorse. Gli spazi interni per il trattamento della patologie psichiatriche, soprattutto nella fase più acuta sono chiamate Articolazioni per la Tutela della Salute Mentale (ATSM), i “repartini”, nel gergo carcerario infantilizzante. In Italia sono 32 Atsm italiane, collocate in 17 istituti penitenziari, uno per regione. Hanno posto per meno di 300 detenuti in totale, Le più grandi sono a Barcellona Pozzo di Gotto (50 persone) e Reggio Emilia (43 persone), certamente non a caso quei due istituti erano Opg, oggi diventati case circondariali”.

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