La storia assurda di Antonino Pepi, Lipera: “Riparare a gravissimo errore giudiziario”

Il 12 febbraio alle 10, presso la “Sala Enzo Tortora” una conferenza stampa dove saranno comunicate tutte le azioni che sono già in corso.

Vittoria – Una storia “singolare”, per non dire assurda, in cui le maglie della giustizia si stringono così tanto da soffocare un innocente, dichiarato responsabile di un omicidio che non ha commesso. C’è un padre che uccide per salvare il figlio da una brutale aggressione, che viene assolto perché non creduto. Ma poi si vede condannare uno dei figli, l’unico che era lontano dalla scena del crimine. Una vicenda culminata il 30 gennaio, quando è stato eseguito l’ordine di esecuzione della condanna definitiva pronunciata a carico di Antonino Pepi, condannato ingiustamente ad anni 14 di reclusione per la morte di Giuseppe Dezio, avvenuta a Vittoria il 2 febbraio 2016.

Ma l’avvocato Giuseppe Lipera, legale di Antonino, non si arrende. Aveva già presentato ricorso in Cassazione chiedendo di annullare la condanna proprio sulla base dell’innocenza del suo assistito. Secondo la ricostruzione dei fatti Gaetano Pepi avrebbe ucciso la vittima, accoltellandola, perché stava aggredendo suo figlio Alessandro. Una tesi che non ha convinto i giudici di primo grado. La “storia è parecchio singolare: della morte di Dezio – afferma Lipera – fu reo confesso dal primo giorno Gaetano Pepi, padre dell’unico condannato, che però venne assolto in primo grado dalla Corte di Assise di Siracusa perché ritenuto non credibile.

L’avvocato Giuseppe Lipera

Ecco perché il legale, al fine di illustrare in modo più approfondito i dettagli di questa incredibile vicenda, ha organizzato per il 12 febbraio 2025, alle ore 10:00, presso la “Sala Enzo Tortora” dello Studio Legale Lipera, una conferenza stampa dove saranno comunicate tutte le azioni che sono già in corso per cercare di “riparare a questo gravissimo errore giudiziario“, afferma il difensore. Alla conferenza stampa saranno presenti Valeria Busacca, moglie di Antonino Pepi, Gaetano Pepi, il padre. E ancora Alessandro e Marco Pepi, i fratelli, man mano assolti dopo una lunga custodia cautelare e che oggi rivestono il ruolo di testimoni. Infine, il generale Luciano Garofano, già comandante dei R.I.S. di Parma, che è stato consulente di parte della difesa.

Gaetano Pepi ha “sempre dichiarato di aver visto, affacciandosi alla finestra della sua proprietà, – spiega Lipera – Giuseppe Dezio armato di coltello che con un braccio teneva avvinghiato il figlio Alessandro da dietro che lo stava ferendo all’addome. Alla vista del figlio ferito, in pericolo di vita, reagiva raggiungendo di corsa l’aggressore e colpendolo a sua volta con un coltello, cagionandone la morte. Tuttavia il padre e i tre figli vengono tutti arrestati dall’autorità giudiziaria di Ragusa e successivamente rinviati a giudizio, subendo una lunga carcerazione preventiva”.

Davanti ai giudici della Corte di Assise di Siracusa ci furono quattro imputati: Gaetano Pepi ed i figli Antonino, Alessandro e Marco (quest’ultimo aveva soltanto soccorso il fratello ferito). Il “primo errore – prosegue Lipera – fu arrestarli tutti e quattro. Il secondo, il rinvio a giudizio di tutti, disposto dal G.U.P. di Ragusa. Andiamo avanti. In primo grado Gaetano Pepi ed il figlio Marco venivano assolti mentre i fratelli Alessandro e Antonino condannati ad anni 22 di reclusione. In secondo grado, innanzi la Corte di Assise di Appello di Catania, la ricostruzione dei fatti veniva stravolta al punto che anche Alessandro Pepi veniva assolto per non aver commesso il fatto mentre, inspiegabilmente, veniva condannato Antonino, nonostante fosse l’unico dei figli ad essere rimasto lontano dal luogo dell’aggressione e non fosse mai intervenuto”.

Quindi “prima erano in quattro, – fa notare il legale – e poi diventarono due, alla fine è rimasto uno. Quello che era addirittura lontano dalla scena del crimine. Antonino Pepi ovviamente ha proposto ricorso per Cassazione e, nonostante l’autorevole parere dell’accusa all’accoglimento dello stesso, la Corte Suprema di Cassazione in data 29 gennaio 2025 ha confermato la sentenza dell’unico condannato“. I Carabinieri della Compagnia di Vittoria, in esecuzione di un provvedimento della Procura Generale presso la Corte d’Appello di Catania, hanno rintracciato ed arrestato Antonino Pepi, cinquantunenne del posto, condannato in via definitiva per l’omicidio volontario di Giuseppe Dezio.

La Corte di Cassazione

Il 29 gennaio il ricorso proposto davanti alla Corte di Cassazione è stato rigettato, rendendo definitiva la condanna a 14 anni, e la Procura Generale presso la Corte d’Appello di Catania ha emesso un ordine di esecuzione per la carcerazione nei confronti del condannato. I carabinieri della Compagnia di Vittoria, ricevuto il provvedimento giudiziario, si sono immediatamente attivati per eseguirlo e hanno rintracciato l’uomo presso la sua abitazione, notificandoglielo. Lo stesso, terminati gli atti di rito, è stato tradotto presso la Casa Circondariale di Ragusa dove, computata la custodia cautelare cui era stato già sottoposto, dovrà scontare la pena residua di 12 anni ed 8 mesi di reclusione.

L’avvocato Lipera, parlando dell’assurdità della vicenda, rievoca la frase di Leonardo Sciascia rivolta al dramma di Enzo Tortora. In una “battaglia di coscienza che va oltre la storia”, Sciascia e Tortora s’incontrano, così come pure condividono lo stesso disincanto rispetto a una realtà che appare ostile a quella giustizia. Un disincanto segnato dall’epitaffio scritto da Sciascia per l’amico che recita quasi a memento o forse ad augurio per le battaglie di giustizia “che non sia un’illusione”. Una frase che nel mare magnum degli errori giudiziari da Tortora ad oggi, domina ogni storia.

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