Apparso sulla rivista “eClinical Medicine” l’esperimento mette in luce il nesso, oltre agli inadeguati stili di vita, come fumo e alcool.
Roma – La solitudine permanente incide sulla salute umana. L’esclusione da ogni rapporto di presenza o vicinanza da altre persone, a volte desiderato o ricercato come luogo e spazio di pace o per raccogliersi in intimità, spesso è un trauma conseguente ad una totale mancanza di affetto e di conforto. Le cosiddette “famiglie single”, ovvero quelle composte da una sola persona, sono sempre più numerose, tanto che il fenomeno sta diventando sempre più pervasivo, al punto da essere considerato un problema di salute pubblica. Paradossi della vita: la solitudine che è una condizione individuale, in realtà assume contorni che riguardano la collettività! L’Harvard T.H. Chan School of Public Health, Università privata di Boston, USA ha effettuato uno studio a cura del Dipartimento di Epidemiologia, apparso sulla rivista “eClinical Medicine”, che tratta la ricerca di sistemi di base, traslazionali, clinici e sanitari. Ebbene, c’è una stretta relazione tra la solitudine avvertita a lungo nel tempo e il rischio di ictus negli adulti e anziani.
La medicina definisce ictus la “chiusura o rottura di un vaso cerebrale che provoca il conseguente danno alle cellule cerebrali dovuto dalla mancanza di ossigeno”. Questa patologia rappresenta, oggi, una delle principali cause di malattia a lungo termine a livello mondiale. Con effetti sulle famiglie, in quanto prendersi cura di un paziente colpito da ictus è un investimento di risorse emotive ed economiche di non poco conto. Senza parlare degli effetti sul sistema sanitario nazionale. Gli autori dello studio hanno preso in esame la relazione tra solitudine percepita in un determinato periodo di tempo e l’ictus su un campione composto, originariamente, da 12161 persone adulte di età pari o maggiore di 50 anni. Alla fine del percorso scientifico è emersa un chiaro rapporto tra solitudine ed ictus nel tempo. Chi aveva manifestato solitudine alla prima misurazione, aveva un rischio di contrarre la patologia del 25% maggiore rispetto a quelli che avevano tenuto a debita distanza la solitudine.
La percentuale è cresciuta fino al 56% ai partecipanti che hanno dichiarato la propria condizione in entrambe le fasi dell’esperimento. Quindi il rischio assume risultati preoccupanti nel lungo periodo. Secondo gli scienziati il nesso solitudine-ictus, con un rapporto direttamente proporzionale tra la condizione e la patologia, può avere la sua origine nella constatazione che non si rispettano le terapie farmacologiche a cui, eventualmente, ci si sottopone. Inoltre, è questo è un dato ormai risaputo, gli inadeguati stili di vita, come fumo, alcool, esigua qualità del sonno. Infine, la solitudine potrebbe incidere su altre situazioni organiche, quali infiammazione cronica, pressione alta, che a loro volta sono dannosi per il sistema vascolare, immunitario e metabolico. L’essere umano, nel corso dei secoli ha dimostrato di essere un animale sociale, come diceva secoli fa il filosofo Aristotele.
L’uomo si realizza attraverso le relazioni con l’altro e questo aspetto sta alla base di ogni tipo di azione pedagogica orientata in primo luogo alla persona. La frantumazione dei rapporti interpersonali, come la pandemia ha confermato, ha lasciato una serie di ferite che faticano a rimarginarsi. Se a questi aspetti si associa la constatazione che la società altamente tecnologizzata porta ad una estrema individualizzazione della vita, con carenza della socialità, anche se, coi tanti contatti virtuali, potrebbe sembrare il contrario. Questo è un processo che viene da lontano, non è figlio di internet o dei social, che l’hanno solo accelerato, ma risale a decenni fa. E’ frutto del continuo cambiamento dei processi capitalistici della società che, dal consumismo sfrenato degli anni ’80 in poi, ha prodotto la parcellazione dei rapporti sociali, di cui la solitudine è l’aspetto più visibile!