La moda che inquina

Tutto ciò che indossiamo, un giorno diventerà rifiuto solido e dovrà essere smaltito. E se pensiamo ai materiali con i quali, oggi, vengono fabbricati i vestiti, non è difficile cogliere il nocciolo del problema, ormai divenuto globale.

Roma – Ogni giorno, in ogni parte del mondo, vengono mandati al macero tonnellate di vestiti. Parte di questi vengono smaltiti in Cile. Precisamente alla periferia di Alto Hospicio, città di 130 mila abitanti situata a nord del Paese, nei pressi del deserto di Atacama. Quest’ultimo è un luogo molto arido, eppure è noto per uno strano fenomeno quasi fiabesco: la sua straordinaria fioritura in un magica distesa rosa, viola e blu. Ebbene, ora passerà alla… storia per lo smaltimento di rifiuti tessili di seconda mano dall’estero. Il fenomeno si è accentuato a causa della “fast fashion”, la moda usa e getta, fondata sulla circolazione globale di indumenti alla moda poco costosi e di infima qualità, utilizzati molto meno e smaltiti prima di quanto si facesse un tempo.

Secondo il National Geographic Magazine, rivista scientifica diffusa in molti Paesi del mondo, in Cile, ogni anno, arrivano 59 mila tonnellate di vestiti attraverso il porto di Iquiqe, che dal 1975 è una sorta di zona franca a vantaggio del trasporto internazionale e dell’economia locale. Una parte degli indumenti viene rivenduta in altri Paesi del Sud America, mentre altri vengono distribuiti nel commercio locale.

Circa 40 mila tonnellate, però, vengono scaricate nelle discariche a cielo aperto come avviene ad Alto Hospicio, dove arrivano vestiti da tutto il mondo. Il magazine britannico Dazed, bimestrale di moda, cinema e arte, ha diffuso, tempo fa, una notizia secondo cui solo il 15% dei vestiti smaltiti in Cile è di seconda mano, il resto è nuovo di zecca, mai indossato.

L’industria della moda è molto inquinante.

Questa gran mole di indumenti si è talmente accumulata che il comune ha deciso, per limitare il rischio di incendi, di sotterrarli tutti. Com’è noto, l’industria della moda è tra i settori che hanno un impatto ambientale notevole a livello mondiale. Tra gli aspetti più nocivi, vanno segnalati: la produzione di acque reflue; le emissioni di gas serra; la dispersione di microplastiche negli oceani. Il settore, peraltro è finito sotto i… riflettori della cronaca anche per lo sfruttamento dei lavoratori, sottoposti a paghe irrisorie e orari lunghissimi.

Per quanto riguarda l’impatto ambientale, la preoccupazione è tale che la Commissione economica per l’Europa dell’ONU lo ha considerato “un’emergenza ambientale e sociale”. E non è finita qui. Poiché al peggio non c’è mai fine, il timore è che la situazione possa completamente sfuggire di mano. Secondo stime della Banca Mondiale, infatti, entro il 2050 il totale dei rifiuti prodotti a livello globale arriverà a 3,4 miliardi annui, rispetto ai 2,02 miliardi del 2016. I danni per le comunità e l’ambiente sono acclarati.

Anche perché la maggiore criticità è costituita dal fatto che la gran parte degli indumenti accumulati nelle discariche è fatta di materiale sintetico come il poliestere, che si degrada con molta lentezza rispetto ai capi di cotone, impiegando fino a 200 anni. Un altro aspetto deleterio è che per smaltire i vestiti, questi vengono bruciati. Tale modalità, associata ai roghi che si sviluppano nelle discariche abusive causano emissioni di sostanze tossiche per le popolazioni che abitano nei pressi.

Per cercare di arginare il fenomeno, il Cile ha approvato alcune norme, tra cui la “Responsabilità Estesa del Produttore” (EPR), basata sul coinvolgimento delle aziende nel valutare i costi ambientali dei loro prodotti. Inoltre, alcune startup cilene si stanno occupando di riciclare una piccola parte di vestiti importati, che altrimenti andrebbero al macero.

Qualcosa si sta muovendo e si spera nella giusta direzione. Altrimenti il… vestito per la bara è già pronto per ognuno di noi!

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