La metropoli diffonde isolamento sociale, altro che “diversificazione culturale”

I grandi palazzi nelle periferie delle metropoli sono privi di accesso ai servizi, luoghi di aggregazione, scollegati col centro e dove la microcriminalità cresce a dismisura.

“Com’è bella la città. Com’è grande la città. Com’è viva la città. Com’è allegra la città. Vieni, vieni in città. Che stai a fare in campagna? Se tu vuoi farti una vita, devi venire in città”. Era il testo ironico di un brano musicale del 1971 di Giorgio Gaber, quando la metropoli era ancora vista come luogo di possibilità per tutti e dove si poteva cogliere il meglio del miscuglio eterogeneo di etnie e religioni diverse.

Ma la realtà ha mostrato il suo volto più truce: le metropoli favoriscono, al contrario, l’isolamento sociale, altro che integrazione! Risulta, invece, che siano le città medio-piccole ad essere polo di attrazione di gruppi sociali diversi. Ci si è posti una domanda sulla mobilità sociale, ovvero quali sono gli spostamenti in base alle caratteristiche demografiche e socio-economiche? Una ricerca su questo tema è stata pubblicata all’inizio di quest’anno da Nature, una delle più antiche e importanti riviste scientifiche esistenti.

La misura dell’integrazione, valutando le diversità socioeconomiche, è stata ottenuta grazie ai dati sulla mobilità dei telefoni cellulari (GPS) relativa a centinaia di milioni di persone negli USA, divise tra aree metropolitane e contee. Ebbene, l’isolamento sociale derivato dall’incontro tra gruppi sociali diversi ha raggiunto la percentuale del 67% nelle dieci città statunitensi più grandi rispetto alle piccole città con meo di 100 mila abitanti. Secondo gli autori questo succede perché nelle grandi città esistono diversi spazi destinati a specifici gruppi sociali. Paradossalmente si è meno isolati dove esistono i centri commerciali, che sono ubicati dal punto di vista geografico in maniera da collegare diversi quartieri e, quindi, attirare persone di ceti sociali diversi. A conferma, secondo gli autori, di come la progettazione urbana. Si spera che non venga considerato un invito a costruire centri commerciali più di quanti ce ne siano già, perché rappresentano in realtà, l’illusione e la dispersine consumistica allo stato puro.

Per l’integrazione di gruppi sociali diversi c’è bisogno di centri di aggregazione, culturali, ricreativi e sportivi, altro che pascolare come un gregge in un centro commerciale! Come già cantava Giorgio Gaber le città ci sono molti negozi, maggiori servizi pubblici e, quindi, in teoria, si è facilitati all’incontro. Però l’accessibilità è negata ai ceti svantaggiati. Infatti, la ricerca ha confermato che gli studenti vivono una maggior isolamento etnico e reddituale. Quelli che provengono dai ceti abbienti hanno la possibilità di accedere ai servizi, visitare negozi, usufruire di più occasioni culturali e di viaggiare, rispetto a coloro che fanno parte dei ceti più fragili. Ovvero: la scoperta dell’acqua calda. E noi poveri ingenui, pensavamo il contrario! Che le metropoli fossero luoghi di disgregazione sociale lo si subodorava da tempo. Il colpo di grazia per favorire l’isolamento sociale sono state le costruzioni di grandi palazzi, dei veri e propri casermoni, nelle periferie delle grandi città. Luoghi privi di qualunque accesso ai servizi, di luoghi di aggregazione, scollegati col centro e dove la microcriminalità cresce a dismisura. Inoltre la manutenzione degli immobili è inesistente, come dimostra il recente disastro, il 22 luglio scorso, col cedimento di un ballatoio di collegamento nella Vela Celeste di Scampia, Napoli, che ha provocato tre morti e 12 feriti!

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