La mannaia dell’OCSE si abbatte sull’Italia

Uno studio a livello globale ci ricorda che l’inflazione corre e che la ripresa post-pandemica è lenta. Non si tratta certo di novità. Quello che, invece, è “nuovo” è l’insegnamento che dovremmo trarre dalla pandemia, ma che fatichiamo a comprendere…

Roma – La situazione economica in Italia non è certo rosea, anzi. A confermarlo è l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), organismo internazionale di studi economici per i Paesi membri, aventi in comune un’economia di mercato. Nell’ultimo Global Economic Outlook, un report in cui viene evidenziato lo stato di salute di ben 180 economie mondiali, è emerso che le recessioni sono ancora col fiato sul collo di alcune principali economie.

Per il nostro Paese, l’avvertimento è che la mancata applicazione del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) produrrà una decrescita del PIL (Prodotto Interno Lordo). Infatti quest’anno si aggirerà sull’1,2%, nel 2024 sull’1%, mentre l’anno scorso era del 3,8%.

Fondamentale – secondo le “teste d’uovo” dell’OCSE – saranno le riforme del sistema giudiziario, della pubblica amministrazione e della concorrenza. Ma la spesa dei fondi New Generation Eu800 miliardi di euro stanziati dall’Europa per riparare i danni economici e sociali prodotti dalla pandemia – è, finora, inferiore del 50% inferiore rispetto ai piani originari. Questo per i gravi ritardi nell’attuazione dei programmi di investimento pubblico.

La ripresa dalla crisi economica dovuta alla pandemia è lenta e complessa.

Le riforme saranno, dunque, fondamentali per la crescita e la riduzione del rapporto deleterio debito pubblico e PIL. Come riporta l’OCSE:

i piani di consolidamento dovrebbero includere misure ambiziose per combattere l’evasione fiscale e revisioni complete della spesa per aumentare l’efficienza della spesa pubblica. Anche l’attuazione delle misure del PNRR, innalzando la crescita, potrebbe avere il beneficio aggiuntivo di ridurre il rapporto tra debito e PIL. Inoltre, sta anche aumentando il costo del governo per rifinanziare l’ampio stock di debito pubblico, con i costi del servizio del debito dovrebbero raggiungere circa il 4% del PIL nel 2024. I rischi per la crescita sono sostanzialmente bilanciati, anche grazie agli elevati risparmi delle famiglie, che potrebbero guidare a un rimbalzo della domanda interna più rapido del previsto. Al contrario, ricadute negative dalla recente turbolenza del settore bancario internazionale o ulteriori ritardi nell’attuazione dei progetti di investimento pubblico del PNRR potrebbero rallentare la crescita“.

Inoltre, nonostante gli sviluppi economici globali siano in lieve miglioramento, la ripresa appare fragile, come testimoniano le previsioni sul PIL in calo. A tale proposito, la capo economista dell’OCSE, la britannica Clare Lombardelli, ha così dichiarato:

L’economia globale sta girando un angolo, ma deve affrontare una strada lunga e tortuosa per raggiungere una crescita forte e sostenibile. Le prospettive restano ancora significativamente incerte e tra i motivi di maggior preoccupazione sono da evidenziare l’inflazione e la guerra in Ucraina.”

La guerra in Ucraina è motivo di ulteriore lentezza del rifiorire delle economie.

Ora, come recita un antico adagio partenopeo, “non è necessaria la zingara per prevedere il futuro”. Nel senso che non c’è bisogno di uno studio, seppur rigoroso, come quello degli economisti dell’OCSE, per sapere che c’è inflazione e che la ripresa è lenta. Qualunque cittadino medio italiano se ne accorge ogni giorno al supermercato o per affrontare le incombenze quotidiane.

Tuttavia c’è un aspetto che stride non poco. In ogni studio che viene effettuato si parla di produzione che deve crescere. È come se non avessimo compreso la lezione della pandemia, in cui il diabolico virus è potuto circolare maggiormente nelle aree ad alta industrializzazione. Contesti in cui la produzione ha raggiunto lo sviluppo massimo, con tutti i danni ambientali e per la salute che conosciamo. Sarebbe ora di dire basta!

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