Al tempo dell’adozione della prima delibera istitutiva, due membri della Camera espressero il loro dissenso con le dimissioni dalla carica.
Roma – Vitalizi sì, vitalizi no: un tema che ha acceso l’estate rovente in Parlamento. Il presidente del Consiglio di giurisdizione della Camera ha firmato lo scorso 24 luglio la sentenza di primo grado con cui si confermano i tagli ai vitalizi per gli ex deputati, con un ricalcolo degli assegni percepiti sulla base del metodo contributivo. Lo rende noto l’Ufficio stampa della Camera. La misura – si spiega – consentirà un risparmio stimato di oltre 15 milioni di euro riferito all’anno 2024.
Nel complesso il pronunciamento riguarda circa 800 ex deputati. I vitalizi restano quindi agganciati al sistema contributivo introdotto dal Regolamento di previdenza del 2012, analogamente a quanto previsto da tempo per tutti i pensionati. L’unica deroga al sistema contributivo pro quota è nella previsione che, se in base al sistema contributivo dovesse risultare, per i parlamentari con più legislature, una pensione di importo superiore a quello previsto dal precedente sistema retributivo, la pensione dell’interessato resterebbe limitata all’importo minore.
Ma la questione è annosa: l’ultima pronuncia su una querelle che infiamma sempre il dibattito politico, nel confermare i tagli ai vitalizi conferma anche le cosiddette ‘mitigazioni’ ossia alcuni ripristini già deliberati dall’ufficio di presidenza della precedente legislatura (con la presidenza di Roberto Fico) per rispondere a esigenze individuali. Il Consiglio di giurisdizione della Camera dei deputati è composto da Laura Cavandoli, presidente e relatore, Gianluca Vinci e Debora Serracchiani e si è insediato nel settembre scorso. La causa arrivata a sentenza di primo grado è iniziata nel 2019, con il ricorso, promosso da alcuni ex parlamentari contro la delibera del 12 luglio 2018, relativa proprio al taglio ai vitalizi.
Ma è bene ricordare che nel 2012 il cosiddetto vitalizio è stato profondamente modificato. Prima era retributivo, quindi assimilato all’ultimo stipendio percepito, oggi come per tutte le pensioni è contributivo, quindi calcolato in ragione dei contributi effettivamente versati. Non solo. Prima si maturava il diritto di percepirlo il giorno dopo della fine della legislatura, oggi lo si ottiene solo a partire da quando si va in pensione, a 65 anni. Sono differenze non trascurabili. I vitalizi non esistono più: sono stati cancellati nel 2012. Gli unici che possono ottenerli sono coloro che hanno svolto almeno cinque anni di mandato prima di quell’anno.
Al tempo dell’adozione della prima delibera istitutiva dei vitalizi, due membri della Camera espressero il loro dissenso sotto forma di dimissioni dalla carica. Il deputato Giuseppe Veronesi lo fece con una lettera di cui fu data pubblica lettura in Assemblea a Montecitorio, ma le dimissioni furono respinte dalla Camera. Anche il deputato Enrico Endrich, eletto una prima volta nelle liste del Movimento sociale italiano nel ’53, si dimise nel 1955 per analoga protesta, ma nel suo caso le dimissioni furono accolte. Fu eletto di nuovo alle elezioni politiche del ’72 al Senato e “ci rimase dal 1972 al 1976. La legislatura fu completa e dunque il vitalizio, alla fine, se lo guadagnò. E questa volta, senza rinunciare all’assegno e senza dimissioni. Tuttavia, pur avendo maturato il diritto al vitalizio, rinunciò a riscuoterlo e dopo la sua morte analogo atteggiamento mantenne la moglie rifiutando la reversibilità.
Contro l’irrinunciabilità del vitalizio si è espresso Gerry Scotti, deputato del PSI dal 1987 al 1992. Nel 2014 ha inviato una richiesta all’allora premier Matteo Renzi per rinunciare, al compimento dei 65 anni di età, ad una rendita vitalizia di circa 1400 euro mensili. Non essendoci una procedura che potesse consentire di rinunciare al vitalizio, Renzi ha dichiarato di volersi impegnare a rendere rinunciabile il vitalizio. Scotti ha inoltre aggiunto che, se non gli fosse stato possibile esercitare questa sua scelta, quando avrebbe iniziato a percepirlo lo avrebbe devoluto interamente alle famiglie che hanno perso un congiunto sul posto di lavoro. Scotti ha poi inviato la richiesta di rinuncia ad altri tre premier, ma nessuno l’ha accolta.
Nel luglio 2018, una delibera promossa dal Movimento 5 stelle ha fatto sì che l’importo venisse ricalcolato e ridotto retroattivamente, già a partire dal 2012. In Senato, la stessa delibera è stata approvata ma poi duramente contestata negli anni successivi dagli ex senatori che si erano ritrovati con un taglio della pensione. Nel 2020 è arrivato un primo passo indietro di Palazzo Madama, con una riduzione del taglio (fatto partire dal 2018 invece che dal 2012). Infine, nel 2023 il taglio è stata cancellato del tutto. Questo comunque non significa che i senatori oggi in carica torneranno a ricevere il vitalizio, ma che chi lo aveva maturato prima del 2012 otterrà l’importo pieno e non quello ridotto.
L’anno scorso, dopo la decisione giuridica del Senato, la Camera aveva invece preso una direzione diversa: con un ordine del giorno approvato a larghissima maggioranza, si era chiesto di non rialzare i vitalizi, e sostanzialmente di non seguire l’esempio di Palazzo Madama sulla questione. A luglio è arrivata la prima decisione ufficiale sul tema dei vitalizi, rispondendo ai ricorsi presentati già nel 2019 con le stesse motivazioni di quelli presentati al Senato. Anche se si tratta solo di una sentenza di primo grado, è comunque un primo punto fermo nel dibattito.
Per i vitalizi degli ex deputati continuerà quindi ad applicarsi il metodo contributivo. Ci sono solamente due eccezioni. La prima riguarda i casi in cui il calcolo contributivo dà un importo più alto rispetto al ‘vecchio’ sistema retributivo, cosa che può succedere ad esempio con chi è stato parlamentare per molte legislature: in questo, il vitalizio corrisponderà alla somma più bassa. La seconda eccezione invece riguarda alcuni casi specifici, riconosciuti già nella scorsa legislatura, che per motivi individuali hanno bisogno di avere accesso al vitalizio con l’importo non tagliato.