La linea sottile: il genocidio tra affari, politica e morale

Il 3 luglio scorso Francesca Albanese, inviata delle Nazioni Unite, denunciava una “economia del genocidio” legata a doppio filo con il conflitto di Gaza. Volvo e BNP Paribas nella bufera.

Tra le aziende internazionali richiamate nell’ultima relazione dell’inviata delle Nazioni Unite Francesca Albanese figura anche il colosso bancario francese BNP Paribas, insieme al gruppo svedese Volvo. Entrambe sono accusate di aver contribuito, direttamente o indirettamente, al mantenimento e all’intensificazione del conflitto di Gaza.

BNP Paribas

La banca è stata citata per il suo ruolo nel sottoscrivere bond governativi israeliani, allo scopo di mantenere la fiducia del mercato e sostenere la spesa militare di Israele, nonostante downgrade del credito sovrano. Inoltre documenti della SEC (Commissione per i titoli e gli scambi) hanno rivelato che la divisione statunitense di BNP Paribas ha acquistato due milioni di azioni di Elbit Systems nel primo trimestre 2025, una delle principali aziende di armamenti israeliane. In precedenza era stato rivelato un prestito di circa 83 milioni di dollari tra il 2018 e il 2021 per la stessa Elbit. Malgrado la banca neghi di possederne direttamente i titoli e sostenga di agire su mandato dei clienti americani, associazioni come 11.11.11 e FairFin definiscono il comportamento bancario “non in linea con i principi di investimento etico” e denunciano un sostegno a un’economia “che finanzia potenziali crimini internazionali”.

Francesca Albanese – Foto da Euronews

Dal canto suo il colosso bancario ribadisce che le operazioni sono condotte in conformità a leggi internazionali e normative anti-riciclaggio; dichiara di non detenere direttamente azioni Elbit e di aver finanziato esclusivamente esportazioni verso paesi NATO.

Volvo Group

Volvo Group è stato menzionato per la fornitura di mezzi pesanti utilizzati in operazioni di demolizione di case e infrastrutture palestinesi in Cisgiordania e Gaza, segnalate fin dal 2007. In particolare, escavatori Volvo sarebbero stati impiegati a Umm al‑Khair e a Gerusalemme Est, con conseguenti sfollamenti di famiglie palestinesi. La relazione ONU critica aspramente la persistenza di tali forniture, definendole una forma di complicità indiretta nei fenomeni di esodo forzato.

La multinazionale si dichiara “delusa” dalla menzione nella relazione ONU, affermando che il loro impatto è trascurabile e che sono in corso miglioramenti dei processi di indagine interne all’azienda. Il portavoce di Volvo Group afferma altresì di utilizzare rivenditori indipendenti e di rispettare regole internazionali sui diritti umani, sostenendo che non è in grado di controllare l’uso finale dei mezzi dopo la loro vendita.

Una catastrofe immane che non deve continuare

La linea sottile

Il rapporto ONU del luglio 2025 evidenzia come banche e aziende industriali internazionali possano ritrovarsi implicate in conflitti attraverso strumenti finanziari o forniture di materiali e mezzi pesanti. La libertà d’impresa nel modello capitalista è totalmente scevro dall’etica, il che fa di esso un modello economico decisamente insostenibile. Se da un lato sono in corso autoposizioni difensive, dall’altro cresce la pressione internazionale per una responsabilità legale e regolatoria sulle attività commerciali che hanno impatto sui diritti umani nei territori occupati. In assenza di provvedimenti concreti proseguiremo nel vedere impotenti il diritto internazionale che crolla pezzo dopo pezzo, rivelandosi una tigre di carta in una giungla di tigri in carne ed ossa.

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