Condannato per omicidio l’ex religioso Gratien Alabi Kumbayo. Il marito della vittima chiede 1 milione di risarcimento all’ente ecclesiastico.
BADIA TEDALDA (Arezzo) – Si torna a parlare di Guerrina Piscaglia, la casalinga di Ca’ Raffaello, frazione di Badia Tedalda, sparita da casa e presumibilmente morta ammazzata il 1 maggio 2014. Per quell’omicidio, che presenta numerosi lati oscuri e privo del ritrovamento del cadavere dunque di tutte le prove attinenti a quest’ultimo importante particolare investigativo, è stato condannato in via definitiva Gratien Alabi Kumbayo, 53 anni, ex monaco di origine congolese dell’Ordine dei Premostratensi, che sta scontando una condanna a 25 anni di carcere presso il penitenziario di Opera, in provincia di Milano.
Il processo penale dunque è finito, con un condannato che da sempre si proclama innocente, ma non il procedimento civile a carico della Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, dal 2022 retta dal vescovo monsignor Andrea Migliavacca. Mirco Alessandrini, 55 anni, tramite il suo avvocato Nicola Detti, ha chiesto all’ente ecclesiastico 1 milione di euro a titolo di risarcimento:
” Spero un giorno di poter pregare sulla tomba di mia moglie – ha detto il vedovo – Siamo certi che la diocesi abbia delle responsabilità civili. Non dirette, ovviamente, ma gravi e debbono essere riconosciute. Una di queste è quella di non aver vigilato. Il delitto, come riconosciuto anche dalla Cassazione, è avvenuto all’interno o nelle immediate vicinanze della canonica. I vertici religiosi sapevano quale fosse la natura di padre Gratien il quale aveva da tempo una relazione morbosa con Guerrina. Uno strano amore, perché il prete frequentava continuamente prostitute…”.
Queste presunte responsabilità dovranno essere dimostrate in giudizio e la strada appare palesemente in salita. Tali supposte rivendicazioni riguarderebbero non solo la Diocesi ma anche l’Ordine dei padri Premostratensi di Roma perché, a dire di Alessandrini, sarebbero stati loro a dare l’incarico ad Alabi affidandogli una funzione liturgica. Non sappiamo se la Diocesi e l’ordine religioso siano o meno responsabili delle iniziative devianti di un prete ma se Alabi si fosse reso autore, come poi sarebbe stato acclarato, di nefandezze di varia natura perché non è stato denunciato per tempo oltre che alla magistratura anche agli organi ecclesiastici? Mirco Alessandrini ricorda i tragici momenti della sparizione della moglie e le lunghe udienze in tribunale poi culminate con la condanna del prete congolese: “Se penso ancora che sia viva? L’ho creduto sino alla sentenza di primo grado – racconta il marito di Guerrina – Poi ho capito con grande dolore che non sarebbe più tornata a casa con me e nostro figlio…”.
E anche sull’ipotesi del suicidio, che per molto tempo era stata una delle piste investigative, Alessandrini sembra non avere dubbi:
” Impossibile. Guerrina era una casalinga amorevole – aggiunge il vedovo – Non avrebbe mai lasciato nostro figlio per fuggire o farla finita. E poi c’è la relazione tossica con il suo assassino. Che sia stato lui ad ucciderla non ci sono più dubbi. Non ho mai avuto altre donne dopo di lei. Sento ancora la mancanza di Guerrina. Ho passato momenti terribili, bevevo anche se per fortuna da tempo sono uscito dal baratro”.
Dunque spetterà al tribunale civile fare “piena giustizia”, come afferma Alessandrini, ovvero se giudicare civilmente responsabili gli enti ecclesiastici alla stessa stregua dell’ex monaco premostratense:
” Noi abbiamo chiesto i danni all’omicida, come responsabile diretto – chiosa Alessandrini – E allo stesso tempo abbiamo fatto causa alla diocesi e all’Ordine sacerdotale di Roma. Dunque, come recita la giurisprudenza, se il delitto si è consumato nell’esercizio delle funzioni, paga anche l’istituzione. È accaduto anche sulle violenza nei confronti dei minori. A risarcire le vittime sono stati il responsabile e l’istituzione a cui ha apparteneva”.
Sull’omicidio di Guerrina Piscaglia e sui rapporti della donna con Alabi ed altri suoi confratelli insistono ancora non poche nubi mai dissolte sia in fase investigativa che processuale. L’inchiesta, condotta prima dal Pm Ersilia Spena e poi dal collega Marco Dioni, aveva ipotizzato un legame tra la donna e il religioso, relazione prima negata e poi ammessa dal frate che però si è sempre professato estraneo al delitto. Per i tre gradi di giudizio Gratien Alabi è un assassino.