La scomparsa del “centro” non è una questione di leadership deboli, ma di categorie politiche obsolete che non sanno leggere il presente.
Roma – Le praterie della politica che sembravano infinite e tutti i territori conquistabili, hanno esaurito i propri confini e, così, lo spirito di avventura ed il facile populismo, che ha scorie in ogni partito, non affascina più. La ricerca di nuovi equilibri, però, non è cessata, anzi sembra appena iniziata. Il motivo: le prossime elezioni europee. In questo caso tutto diventa possibile e percorribile, purché si raggiunga il fatidico 4%, cioè superare la soglia di sbarramento. Pur con il metodo proporzionale, strane alleanze si saldano per slegarsi il giorno dopo il responso elettorale. Insomma, tutto fa brodo. Le varie ipotesi “politiche” fantasiose ed orripilanti si sommano e moltiplicano, fra lo stupore ed il disinteresse totale degli elettori. Ma ciò sembra ancora non essere sufficientemente compreso dai vari politici alla ricerca solo del consenso. Però non più basato su alchimie politiche stupefacenti, ma nell’individuazione di personalità della prima repubblica, con sigle e simboli che rievocano un passato non più riproponibile.
Ipotesi che confermano la responsabilità di una classe dirigente che magari ha saputo entusiasmare, ma che non ha saputo sognare ed immaginare un Paese che si modificava, invecchiava e che poteva ripiegarsi su sé stesso, senza riuscire più ad agitare gli animi e consentire di sperare. Il fallimento, insomma, è palpabile. Emerge, in tal modo, l’area dei moderati che non si riconoscono nel centrodestra a trazione meloniana e del centrosinistra schleineniano. La domanda, in questo caso, è: esistono davvero questi moderati, e per conquistarli sarà sufficiente fare riemergere padri fondatori e vecchi leader che sono vissuti in momenti storici così diversi dall’attuale…? La storica differenza tra “liberal democrazia” e “progressisti” ancora è in itinere, ma solo per cercare di marcare differenze, che negli anni però spesso non si sono viste. Allora, l’incubo che si aggira per l’Europa di questi tempi sarebbe la definitiva scomparsa del “centro”, cioè delle forze politiche centriste.
Le difficoltà incontrate da numerosi progetti che si richiamano alla liberal-democrazia derivano anche dalla difficoltà a fare i conti con l’evidenza di un mondo che cambia velocemente. Le categorie politiche del passato sembrano non reggere più, sia in termini di interpretazione sia in termini di proposta. In ogni caso, l’interpretazione data al significato dei due poli, quello liberale e quello democratico, è stata quella di avere solo la capacità di tenerli insieme, collegandoli in una visione che ha saputo tener conto dell’uno e dell’altro. Ossia coniugare i diritti individuali con il principio democratico della sovranità popolare. In sostanza, la socialdemocrazia europea ha finito con l’aderire a questa visione, spingendo l’equilibrio verso un welfare inclusivo, esteso. Tant’è vero che nell’epoca liberal-democratica e social-democratica si sono tenuti insieme le garanzie sociali e i diritti individuali, sostituendo lo stato sociale al vecchio detto “lascia che accada”, la massima che fu usata dai primi liberisti per ottenere l’abolizione di ogni vincolo all’attività economica.
Ecco, è proprio questa tensione liberale e democratica – dove democrazia ha il significato di stato sociale – ad essere in crisi. La questione, dunque, non può porsi in termini di qualità politiche dei leader, o di esistenza di uno spazio politico adeguato, che si chiami “terzo polo” o con altro nome. Per cogliere le ragioni della difficoltà liberal-democratica occorre partire non dalle idee, ma dalla realtà che muta. Comprendere come sta mutando. Si può dunque vedere nel neo-liberismo, incarnato dallo slogan “la società non esiste, esiste solo l’individuo”, il motore che ha tenuto in marcia l’europeo, che non vede più le lotte dei poveri, ma la rabbia degli impoveriti e anche degli impauriti. Ma le lotte dei poveri sono diverse dalle rabbie degli impoveriti. Ecco perché l’europeo terrorizzato, ad esempio, non sa vedere nei migranti quella forza-lavoro di cui il suo stato sociale avrebbe bisogno per evitare lo smantellamento. La difesa di sé tra privilegi che sfumano aggrava la difficoltà nella quale ci si trova, non la attenua. Non sarà la paura il problema radicale che crea distorsioni…? Chissà.