La “Città dei 15 minuti”: sogno urbano o vera alternativa per il futuro?

Tra urbanizzazione crescente, crisi ambientale e stress urbano, il modello della “Città dei 15 minuti” prova a ripensare la vita cittadina.

Secondo l’autorevole “Oxford Languages” , un editore di dizionari che pubblica opere in più di 50 lingue, la città è definita come un “aggregato di costruzioni più o meno pianificato, sorto da un accentramento culturale, economico e amministrativo, talvolta, specie in passato, anche politico (la polis), determinato da particolari condizioni storiche e ambientali e composto dalla collettività che vi ci abita”.

Ebbene, un report dell’ONU, ha evidenziato che nel 2050 quasi i 2/3 della popolazione mondiale risiederanno nelle città. Confermando come nell’arco di due secoli, considerati dagli scienziati una minuzia, un battito d’ali, lo stile di vita della specie umana si sia trasformato da agricolo in cittadino, con un rilevante incremento della popolazione mondiale. Tuttavia, le città non è che godano di ottima salute, tutt’altro.

Nel 2050 quasi i 2/3 della popolazione mondiale risiederanno nelle città.

Tra emergenza abitativa, inquinamento ambientale e stress a ciclo continuo, c’è l’imbarazzo della scelta. Ecco che sono spuntate teorie che propongono centri urbani a misura d’uomo. Come la “Città di 15 minuti”, ossia un modello di pianificazione urbana che punta a rendere le città più vivibili e meno impattanti per l’ambiente limitando la necessità di lunghi spostamenti.

La locuzione fu coniata nel 2016 da Carlos Moreno, urbanista e docente all’Università Sorbona di Parigi, con cui si intendeva “promuovere la sostenibilità e la salute, diminuendo la dipendenza dall’auto e facendo più attività fisica, utilizzando i trasporti pubblici”. Sono quasi 10 anni che si predica bene e si razzola male, viste come sono ridotte le nostre città.

Le città dovrebbero permettere che le necessità degli abitanti possano essere soddisfatte in soli 15 minuti

Questo modello di sviluppo urbano è stato proposto soprattutto dagli ambientalisti che hanno predicato la loro contrarietà alle divisioni delle città in tanti “compartimenti stagni” con scarso collegamento tra abitazioni, negozi e servizi, per cui bisogna spostarsi in automobile. Le città dovrebbero, quindi, permettere che le necessità degli abitanti possano essere soddisfatte in soli 15 minuti, ecco spiegato l’arcano del titolo dato alla teoria. Qualunque cittadino comune si persuaderà che, utilizzando pochissimo l’auto, calerebbero le emissioni di anidride carbonica (CO2), il principale agente del riscaldamento del pianeta.

Inoltre, ci sarebbero anche altri effetti sussidiari. Una popolazione che si sposta a piedi, in bici o col trasporto urbano (sperando che sia efficiente e funzionale e non la calca a cui si assiste quotidianamente) produrrà meno inquinamento acustico. Vuol dire, anche, una presenza massiccia di alberi e parchi che assorbono la CO2, danno ombra e rinfrescano la zona circostante. Aspetto non trascurabile, vista la calura degli ultimi anni. La diffusione della teoria di Moreno “cade a fagiolo”, tanto per utilizzare un’espressione idiomatica indicante che è il momento adatto per attuarla, in quanto il problema ambientale va risolto. Anche perché, come molti studi scientifici hanno confermato, oggi si trascorre più tempo in auto per gli spostamenti che, ad esempio, nel 1980 e che più ci si sposta, più cresce lo stress e peggiora la salute mentale.

Non si sa se “la teoria della città dei 15 minuti” sia la panacea a tutti i mali. Quello che si sa è che si è toccato il fondo. Infine, i venti che soffiano non vanno nella direzione sperata. A parte le guerre in corso, anche le prese di posizione di grandi Stati, come gli USA a guida Trump che ha negato il cambiamento climatico, promettono tempesta!

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