La chiamano “oziofobia”: la paura del tempo libero che può provocare stress

Il “dolce far niente” non piace a tutti, anzi a sempre meno persone: il fatto di non averne è considerato un simbolo di successo.

Roma – Lavorare troppo fa male alla salute di sé stessi e degli altri. L’immagine iconica della società attuale è rappresentata dal manager sempre impegnato e con l’agenda piena di impegni. Guai a mostrarsi nullafacente, si potrebbe essere colti da maledizione divina! Astenersi dalle abituali attività, ovvero stare in ozio, è il più vituperato dei vizi capitali che, per la bibbia, sono sette: superbia, avarizia, ira, invidia, lussuria, gola e accidia. Quest’ultima è la versione biblica dell’ozio, diventato il nemico numero uno della contemporaneità, in contrasto col modus vivendi dei nostri tempi e, quindi, da celare agli occhi indiscreti. Poiché si vive in un contesto comunicativo in cui bisogna definire qualsiasi aspetto della vita sociale, ecco che è sorto il termine “oziofobia”.

Un modo un po’ bislacco per intendere la paura del tempo libero. Com’è ovvio che sia questo timore raggiunge il suo apice in estate, durante le vacanze, in cui si viene pervasi da una sorta di inadattabilità alla gestione del tempo libero con tutte quelle ore disponibili. Una vera e propria contraddizione, se si pensa che dalle vacanze si ritorna, spesso più stressati di quando si è partiti. Chi è stato fagocitato dal meccanismo della produttività ad ogni costo rischia di sprofondare in quel processo che i nostri padri latini definirono “horror vacui”, ovvero il terrore del vuoto. Avere tante ore libere a disposizione senza essere state programmate, manda in default parecchie persone. Se la categoria lavoro è la conditio sine qua non della nostra società, non desta tanto scalpore un fenomeno del genere. Però si inizia a pensare che non debba essere per forza così. Ad esempio sta cercando di imporsi lo stile di vita olandese “niksen” utile per contrastare lo stress e il burnout. Si tratta di non fare praticamente niente durante la giornata, né leggere, né meditare, né alcuna attività pratica. L’idea è di accantonare ogni dovere e lasciare che la mente possa vagare dove più le aggrada, così come il corpo. 

Ma la realtà è talmente pervasiva che sembra refrattaria al mutamento. In realtà scontiamo ancora gli effetti dell’edonismo reaganiano e degli yuppie degli anni ’80 del secolo scorso. Col primo termine si intendevano le teorie individualistiche, neoliberiste ed egoistiche che si diffusero in quegli anni. Col secondo si intendeva un manager giovane, rampante, dall’aspetto curato, il cui scopo era la ricchezza e il successo, da raggiungere con una intensa vita di relazioni. Oggi farebbe parte di quella categoria che gli esperti di costume considerano incapaci di conciliare vita lavorativa con quella privata. Il sistema è, comunque, indistruttibile. Infatti solo pochi italiani hanno manifestato soddisfazione nel bilanciamento vita-lavoro e la stragrande maggioranza maggiore flessibilità, rispettivamente il 18 e l’87%. Non si tratta di un semplice malessere, ma di una vera e proprio piaga sociale, come succede in Giappone, col “ karoshi”, la morte improvvisa per un prolungato sovraccarico di lavoro.

Il problema è che non tutti se ne lamentano, molti se ne vantano. Cioè si autoesaltano per lo stress a cui sono sottoposti, ostentandolo con orgoglio ai propri colleghi o sottoposti. Ma secondo la moderna psicologia questo atteggiamento è autolesivo, anche se l’intento è di apparire più produttivo dei colleghi. Però in questo modo il rischio è che possa diffondersi una sorta di “epidemia psicologica”, un effetto domino con il contagio che si diffonde facilmente tra le altre persone. Se si avesse, quanto meno, una forma di rispetto etimologico per le parole, forse si potrebbe evitare di finire in questo girone infernale. La parola vacanza di derivazione latina, significa “vuoto” inteso come momento libero. Se ci lasciassimo andare alla sua essenza faremmo viaggiare la mente, il sogno, la fantasia e la creatività. Ma il rispetto, purtroppo, è una disposizione quasi del tutto assente nelle relazioni umane e sociali, ed ecco i risultati!

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