I dati Istat segnano un incremento dei giovani fino ai 35 anni chi vivono coi genitori rispetto al 2002. Il 75,4% in Campania.
Roma – In forte incremento i “bamboccioni”. Qualche decennio fa balzò agli onori della cronaca politica il termine “bamboccioni”. Era il 2009 quando l’allora ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa lanciò al popolo terracqueo nazionale il suo ultimatum “Mandiamo i bamboccioni fuori di casa”. Con questo termine si indicava una generazione di giovani troppo pigra e legata alle famiglie di origine. Evidentemente i bamboccioni” soffrono di sordità, visto che la situazione da allora è peggiorata.
I dati Istat (Istituto Nazionale di Statistica) hanno segnalato un incremento dei giovani fino ai 35 anni chi vivono coi genitori rispetto al 2002. Come al solito, sempre a stare peggio è il Mezzogiorno. In Campania si segnala la percentuale più elevata, 75,4%, mentre al Centro-Nord si è sotto la media nazionale. L’aspetto più allarmante è stato riscontrato per il benessere giovanile. Si sono tutti inaspriti gli indicatori di salute mentale, cresciuti di due punti percentuali dal 2022 ad oggi. Oggi, rispetto al periodo dei “bamboccioni” la condizione giovanile è viepiù peggiorata. Sempre l’Istat ha indicato che i 15 e 24enni rappresentano il 50% dei 3 milioni di contratti a tempo determinato che esistono in Italia.
E col solito refrain, purtroppo, nelle regioni meridionali, il tasso di disoccupazione giovanile raggiunge il 30%. Più volte è emerso che nel 2023 gli occupati sono cresciuti del 2,1%, ma le condizioni generali raccontano altro. Nel senso che ci sono molti lavoratori part time che ambirebbero a lavorare di più con una percentuale del 70% che raggiunge il 90 nel Meridione. Il governo gonfia con orgoglio il petto magnificando con retorica l’aumento dei posti di lavoro. Ma a cosa serve, se la capacità del potere d’acquisto al loro degli stipendi è calata del 4,5%, mentre mediamente in Europa è aumentato del 5,7%? Un altro aspetto critico che emerge sempre è la disoccupazione femminile, in lieve aumento, ma, comunque, bassa rispetto ai livelli europei.
In questo quadro, non meraviglia la crescita delle disuguaglianze. Con gli stipendi e salari che arrancano per stare dietro all’inflazione, le famiglie hanno dovuto per forza spendere di meno. Si è allargato, in questo modo, il divario tra quelle ricche e povere, così come quello tra le generazioni. In una società di mercato, la qualità della vita è strettamente legata al lavoro. Ancora una volta, a pagare il prezzo più alto sono i giovani che hanno visto crescere il loro tasso di povertà sulle altre fasce d’età. Se si aggiunge la denatalità, tra qualche decennio rischieranno la stessa sorte dei dinosauri! Una società di soli vecchi: che tristezza, destinata all’estinzione! Questa peculiarità si è manifestata anche tra gli stranieri che, al contrario, nei primi anni del secolo, avevano contribuito a mantenere alto il tasso di natalità.
Se si pensa che rispetto al 1994, ci sono ben 5 milioni di giovani in meno vengono i brividi. L’emigrazione di molti di loro all’estero, la cosiddetta fuga di cervelli, completa la fotografia di una nazione allo sbando. Premesse per un cambio di rotta non se ne vedono all’orizzonte. Non resta, per chi ci crede, sperare in qualche intervento divino, perché quello umano si è rivelato incapace e inefficace!