Roma – Lasciata la fase più dura della pandemia alle spalle ora è tempo di ripartire. Ma come fare? Si domanderanno in molti. Cosa sarà degli insegnamenti appresi durante il lockdown? Ci sarà un nuovo modello economico? Ci approcceremo in maniera differente e più rispettosa nei confronti dell’ambiente?
La paura emersa dagli ultimi studi di Greenpeace è che il trend economico globale non sia cambiato e che, di contro, i nuovi sussidi europei potrebbero favorire le industrie fossili più inquinanti. È opportuno ricordare che attualmente il volume degli aiuti previsti dalla Commissione europea per arginare la crisi economica provocata dal Covid-19 è stimato in circa 4 mila miliardi di euro, ovvero circa il 25% del PIL europeo ed equivalente a circa 9 mila euro per ciascun cittadino UE. Davanti a questi enormi numeri Greenpeace ha chiesto l’istituzione di un organismo europeo proposto al controllo dei pacchetti di aiuti economici affinché siano allineati con gli obiettivi di riduzione delle emissioni degli Accordi di Parigi.
“…Il fatto che attualmente non ci sia alcun tipo di criterio ambientale nell’allocazione di questi fondi fa sì che le industrie ad alta intensità di energia sporca e quelle più inquinanti vengano favorite da molti punti di vista – spiega Luca Iacoboni, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia – la ripartenza dopo il Covid-19 è un’occasione storica per rifiutare un sistema economico basato su attività inquinanti e distruttive che minacciano la salute delle persone e avvelenano l’ambiente. In questi mesi abbiamo capito a nostre spese che non c’è salute in un Pianeta malato e che non possiamo più ripetere gli errori commessi in passato, quando gli investimenti per uscire dalla crisi economica hanno solo rafforzato i settori produttivi più inquinanti…”.
Lo studio effettuato da Greenpeace Olanda sull’impatto dell’industria inquinante in Europa ai tempi del Covid-19 consente una rapida e facile lettura delle sfide e delle problematiche attuali. In primo luogo viene rivelato come al momento siano molteplici i meccanismi che favoriscono l’industria fossile: dagli sgravi fiscali, ai tagli sulle accise per i combustibili fossili fino alle modifiche del quadro normativo.
Inoltre, sottolineano gli studi di Greenpeace, la BCE sta attuando un programma di sostegno multimiliardario per combustibili fossili e rivolto alle società ad alta intensità di carbonio attraverso la sua politica monetaria. In pratica l’Unione Europea sarebbe nelle condizioni di espandere i suoi programmi di acquisto di attività aziendali (CSPP e ABSPP) avviando un nuovo schema economico.
Nel “Programma di Acquisto di Emergenza” (PEPP) in risposta a Covid-19 attualmente sarebbero stati versati 1,35 milioni di euro. Tra metà marzo e metà maggio 2020, la Banca centrale europea avrebbe acquistato 46 miliardi di obbligazioni societarie e documenti commerciali. Sarebbero stati spesi, inoltre, almeno 7 miliardi di euro in obbligazioni di petrolio integrato, upstream e downstream e società del gas, come Shell, Total, Eni, Repsol e OMV, e utility per i combustibili fossili, come Engie ed EON. In tale maniera la BCE avrebbe finanziato circa 11,2 milioni di tonnellate di emissioni di carbonio, le quali una volta rilasciate nell’atmosfera, avrebbero ulteriormente aggravato la crisi climatica.
Sostanzialmente la grande preoccupazione espressa da Greenpeace diventa palese quando per la fretta di ripartire da un punto di vista economico, si offuscano le razionalità decisionali dei governanti. E che la scelta più semplice e immediata, come la possibilità di finanziare le imprese inquinanti, possa essere quella più gettonata.
Nei mesi della pandemia alcuni dati hanno di fatto accresciuto questo terribile presentimento. Come rilevato dallo studio olandese molti governi comunitari hanno continuato a finanziare le realtà aziendali più inquinanti della Comunità. L’industria aeronautica, tanto per fare un esempio, riceverà 33 miliardi euro di sovvenzioni. La Romania ha versato aiuti di Stato per 291 milioni di euro ad alcune società ad alta intensità energetica per compensare i costi delle emissioni di CO2. In Norvegia l’industria petrolifera ha visto importante sgravi fiscalivche non fanno altro che aumentare il capitale di tale settore portandolo intorno ai 39 miliardi di corone. Nei Paesi Bassi è stata introdotta una politica di differimento per tasse ambientali, imposta sul carbone, imposta sui rifiuti, e per l’accisa di olio minerale. Anche in Spagna i rivenditori di gas e i distributori sono esenti da IVA e dall’imposta speciale sugli idrocarburi.
In buona sostanza è forse proprio l’Unione Europea la reale finanziatrice di un’industria tossica che alimenta l’inquinamento globale? La pandemia appena passata, e la forte distrazione sociale, hanno permesso alla BCE di realizzare le misure finanziarie che in altri tempi sarebbero state altamente impopolari? Secondo Greenpeace la risposta potrebbe essere affermativa. Tragicamente affermativa:
“…In un momento di così grande cambiamento – conclude Iacoboni – chiediamo al Governo italiano di riscrivere il sistema di assegnazione dei fondi pubblici, sostituire le sovvenzioni a armamenti ed attività dannose per l’ambiente con investimenti in welfare, istruzione e salute, promuovere le imprese che producono in modo sano ed ecologico, adottare un piano un piano energetico e climatico in linea con le indicazioni della scienza e applicare misure di rigenerazione delle nostre città. Di mettere cioè la salute delle persone e del Pianeta veramente al primo posto…”.