Il primo trimestre 2025 registra un calo dei consumi in ristoranti e bar. Le famiglie tagliano le spese superflue. E il settore della ristorazione risponde proponendo nuovi modelli.
Anche gli istituti di ricerca si sono accorti che gli italiani escono poco la sera perché la cassa è vuota! Secondo l’Osservatorio di Confimprese sui consumi nei settori ristorazione, abbigliamento-accessori e retail non food, elaborato a partire da dati consolidati e anonimizzati di fatturati delle aziende aderenti al progetto e dati Jakala (una società di consulenza strategica), quali per esempio quelli territoriali, socio-demografici e sui flussi anonimi di frequentazione dei luoghi, i numeri confermano la tendenza col settore della ristorazione che inizia a presentare delle profonde crepe.
Nel primo trimestre di quest’anno si è registrato un calo del 2,6% rispetto allo stesso periodo del 2024, a testimoniare che, data la situazione economica delle famiglie italiane, stanno cambiando i comportamenti al consumo. Se una leggera flessione è fisiologica dopo le festività natalizie, il calo va inquadrato anche nell’instabile contesto internazionale, nella guerra dei dazi, nell’inflazione sgraditissima ospite e nel potere d’acquisto quasi nullo. E’ comprensibile che in una situazione così, il settore della ristorazione possa essere in crisi. Infatti le abitudini stanno cambiando: si va poco al ristorante, non si va al bar per la pausa pranzo, ma si preferisce portarselo da casa, di aperitivi con gli amici nemmeno l’ombra! Si fanno i conti della serva e non può essere che così, anche per controllare le spese fino all’ultimo dettaglio.

Gli effetti si sono riversati anche nei comparti di beni non essenziali, tipo abbigliamento, arredamento, elettronica, aspettando che il vento possa girare. Il fatto è che si è stati costretti a fare una revisione delle priorità e quindi si cerca di effettuare spese oculate. E’ normale, quindi, sacrificare sull’altare delle necessità primarie, i consumi superflui riguardanti gli hobby, il piacere, l’utilitarismo. Se prima pranzare o cenare fuori era, anche, una comodità con cui si interrompeva la solita routine quotidiana, ora lo si fa se le finanze lo permettono, altrimenti ci si mette una riga sopra. In questo contesto, chi lavora nel settore, si trova di fronte ad una competizione sempre più complicata.
Il consumatore non si è del tutto estinto, ma ha mutato atteggiamento. E’ diventato più difficile da sedurre, decide di concedersi un’uscita dopo lunghe e minuziose valutazioni. Fino a poco tempo fa, per attrarre clienti, si pensava a proporre sconti, offerte, menù fissi che ora non valgono più. Bisogna pensare ad un modello di business diverso. Ad esempio, si sta pensando a servizi di consegna a domicilio, pietanze da asporto, una cucina più legata al territorio e a prezzi popolari. Bisogna, però, prendere atto che è tutto il comparto ad avvertire le aguzze zanne della crisi, senza vedere squarci di ripresa.

Inoltre, i mutati cambiamenti dei consumatori stanno provocando un rinnovamento di tutto l’assetto del settore. Infatti, la fine della crisi non garantirebbe, comunque, un periodo di “vacche grasse”, in quanto, una volta cambiate le abitudini, con molta probabilità, continueranno a persistere anche dopo. Sarebbe opportuno ripensare il modello stesso di ristorazione, più legato al luogo, all’equilibrio con l’ambiente e alla soddisfazione personale.
Pensare ad un prodotto più qualitativo che possa suscitare l’attenzione dell’avventore e instaurare rapporti a lungo termine, per trasmettere la sensazione di essere quasi “a casa”. I dati dicono che “non c’è trippa per gatti”, anche se facendosi un giro per le città si scorgono locali, sia all’ora dell’aperitivo che del pranzo o cena, discretamente pieni. Solo apparenza!