ITALIA UNITA?

Dal 1861 l’unità d’Italia ha sancito l’abolizione delle frontiere nazionali ma il divario tra Nord e Sud divide ancora oggi il Bel Paese

Il termine Risorgimento indica un’epoca affascinante, che nel 1861 ha portato all’Unità d’Italia. L’unità politica è nata da un movimento spirituale, culturale, economico e sociale. Il sommovimento popolare ha indotto moltissimi eventi insurrezionali, che hanno progressivamente condotto a un modello unitario: il Regno d’Italia. Nella storia del Paese, l’unità rappresenta da sempre un emblema e, al contempo, un obiettivo imprescindibile. Ma l’unione di un popolo non costituisce lo Stato unitario, dove non sono ammesse autonomie locali.

La Costituzione italiana non si riconosce, al contrario di quella statunitense, nel modello federalista che ha permesso la costruzione dello Stato federale. Nel DNA della nazione italiana non si rinviene alcuna forma federalista, tantomeno quella fiscale. Tutt’al più si rintraccia un sistema basato sulle autonomie regionali, con le proprie peculiarità, anche con le proprie etichette, forse da modificare e migliorare.

Il modello nazionale, con lo Stato centrale gestore del sistema di welfare, ha comportato la crescita del reddito pro capite del Mezzogiorno e la sconfitta dell’analfabetismo. Gli indici relativi al reddito, in miglioramento continuo, appaiono veramente significativi nella storia repubblicana, anche se sottolineano una divergenza lampante tra il Nord e il Sud del Paese, tuttora in corso.

Il divario territoriale, sempre presente nel dibattito politico, rappresenta un tema centrale per lo sviluppo economico e sociale. Il federalismo fiscale – che si manifesta attraverso il regionalismo differenziato, previsto dall’art. 116 Cost. comma 3 – sembra contrario all’idea di un livello omogeneo delle prestazioni sull’intero territorio della nazione. Conferire nuove funzioni alle Regioni potrebbe essere un modello amministrativo in grado di accentuare il divario tra le regioni stesse, andando ad aumentare i disagi di quei territori che già sono (e sono sempre stati) in estrema difficoltà. La sottile ma reale trama di queste innovazioni legislative, potrebbe portare a un consistente peggioramento delle condizioni economiche e sociali nel Mezzogiorno.

Il tema attuale, però, non è quello di un “nuovo nazionalismo”, di un dualismo italico tra un Nord ricco e un Mezzogiorno povero, o di un campanilismo asfittico, ma quello di gestire risorse di bilancio per lungo tempo in costante decrescita: una carenza di disponibilità di spesa dello Stato che penalizza gli investimenti e lo sviluppo in ogni zona. Anche nel dibattito dell’Assemblea Costituente, il sistema delle autonomie è totalmente incentrato sulla democratizzazione delle Regioni.

L’intento che ci si prefigge è proprio quello di un pareggiamento, concetto contrapposto a quello di decentramento regionale delle funzioni (regionalismo decentrato). L’autonomia delle regioni rappresenta un valore che rimane palesemente estraneo a ogni dubbio, ma di certo non si può mettere in discussione un sistema di welfare accentrato e collaudato da anni.

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