Lo sblocco della tranche di ulteriori 19 miliardi previsto dallo scadenzario del Piano è vincolato a determinati parametri imposti dall’Unione Europea. Il Governo Meloni sta faticando non poco per riuscire nell’intento.
Roma – Il PNRR, da quando è sotto la lente di ingrandimento della Commissione UE, è come un imputato “sorvegliato a vista”. Nei suoi confronti ci sono opinioni e valutazioni diverse tra opposizioni e maggioranza. Tra accuse di incapacità, il solito gioco dello scaricabarile, il problema della governance e responsabilità a cascata di tutti coloro che si sono alternati in questi anni al Governo, l’esecutivo si muove adesso con cautela e determinazione per sbloccare i fondi, sui quali Bruxelles si è preso del tempo per verificare la fondatezza dei progetti.
Come si sa, il Governo Meloni ha modificato la governance del Piano di ripresa e resilienza spostandone la regia dal servizio centrale presso il Mef, a una nuova struttura di missione con quattro direzioni generali a Palazzo Chigi. La rendicontazione alla Ue resta compito del Mef, ma la gestione dei rapporti politici con la Commissione e la valutazione di eventuali azioni correttive nei confronti delle amministrazioni viene affidata al Dipartimento per le politiche europee della presidenza del Consiglio, che fa capo a Fitto. A cui passano anche le funzioni della soppressa Agenzia della coesione territoriale. Il PNRR rappresenta un polmone vitale di ossigenazione per l’intero Paese, che potrebbe fare rifiorire e rivitalizzare tanti settori troppo spesso trascurati o semplicemente rinviati per mancanza di visione strategica.
Quindi sarebbe meglio che si costituisse una sorta di “task force” nazionale sotto la direzione di una autorità competente che coordinasse a livello centrale il Piano, onde evitare fughe in avanti troppo ardite o l’emergere di incompetenze che danneggerebbero i territori. Insomma, creare una struttura con un super commissario che coordini ogni attività inerente al PNRR. In particolare, nel Mezzogiorno molte amministrazioni non hanno competenze adeguate a seguire procedure così complesse come quelle del PNRR, ha affermato la Corte dei Conti nella sua ultima relazione. Troppa burocrazia, procedure farraginose, enti locali lenti. D’altronde i problemi atavici che hanno sempre frenato la spesa dei fondi strutturali erano ben presenti ai governi che hanno gestito i negoziati sul piano. Non a caso a partire dall’anno del Covid si è succeduta una raffica di decreti Semplificazioni. Questi hanno introdotto ampie deroghe alle procedure di aggiudicazione dei lavori, circoscrivendo la responsabilità erariale ed il reato di abuso d’ufficio, nonché ridotto i tempi delle autorizzazioni ambientali.
Il Governo Meloni, per agevolare alcuni iter, ha anche allargato l’applicazione dell’appalto integrato e delle procedure negoziate senza bando, oltre ad accelerare l’attivazione dei poteri sostitutivi in caso di inerzia degli enti locali e, finalmente, aprire, pur con molti paletti, alla stabilizzazione del personale a termine. Tutto questo sforzo per togliere “lacci e lacciuoli” però non è bastato. D’altronde sburocratizzare serve a poco se chi deve affidare i lavori non ha le competenze per gestirli. Sul fronte economico, certamente l’aumento dei costi non si poteva prevedere, infatti l’invasione russa dell’Ucraina ha accelerato la corsa dell’inflazione innescata dalla ripresa post Covid. I prezzi sono andati fuori controllo, rendendo spesso impossibile aggiudicare appalti con basi d’asta ormai superate.
Nel 2022 il decreto Aiuti ha messo a disposizione 10 miliardi per aggiornare i prezzari delle nuove gare e pagare le compensazioni per i lavori realizzati. Nella legge di Bilancio per il 2023 sono stati stanziati altri 10 miliardi spalmati su 5 anni. Ma alle imprese, purtroppo, la liquidità sta arrivando con il contagocce, in quanto il ritmo dei versamenti è lentissimo. Non mancano, dunque, le polemiche, infatti, dopo che la Commissione si è presa un altro mese per le verifiche su tre traguardi del secondo semestre 2022, Matteo Salvini ha commentato: “Se l’Ue non aveva dubbi fino a sei mesi fa quando c’era Draghi non voglio pensare che i dubbi nascano adesso con il cambio di governo, altrimenti sarebbe preoccupante”. Oggi, però, la verifica sull’operato italiano si accompagna a una fase di confronto e trattative anche su altre tematiche.