Detenuti infetti e materiale di consumo contagiato hanno contribuito a fornire liquido ematico contenente virus e batteri. Tutti sapevano ma davanti al dio denaro tutto è possibile. Da Poggiolini a De Lorenzo sino ai giorni nostri. Le vittime della strage solo in parte sono state risarcite in vita con cifre esigue mentre la stragrande maggioranza sono morte senza vedere il becco di un quattrino. Oltre il danno anche la beffa.
Da tempo la classe medica, soprattutto negli USA, aveva notato che alcuni malati erano portatori di una malattia infettiva non identificata, che attaccava il sistema immunitario. Negli Stati Uniti la malattia si riscontrava principalmente negli uomini omosessuali e nei consumatori di droghe per via endovenosa.
L’AIDS, la sindrome da immunodeficienza acquisita, era stata segnalata per la prima volta nell’81 e i laboratori virologici riuscirono a isolare il virus il 23 aprile del 1984. Il CDC (Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie) statunitense aveva documentato che oltre alle persone con comportamenti cosiddetti “a rischio”, avevano contratto l’AIDS anche alcuni emofilici senza passato di droghe o di promiscuità sessuale, avanzando l’ipotesi della contaminazione attraverso gli emoderivati. Gli emofilici venivano infusi periodicamente con prodotti estratti dal plasma umano, poiché necessitavano di fattori della coagulazione.
Il sangue era estratto, in larga parte dietro compenso, in città con nutrite comunità di omosessuali e di tossicodipendenti (co droghe assunte per endovena), da carcerati statunitensi e da donatori di Paesi in via di sviluppo o, come si diceva al tempo, nazioni sottosviluppate.
I gruppi maggiormente colpiti, cioè contagiati dai virus delle epatiti virali HBV e HCV e HIV sono stati quelli degli emofilici, dei talassemici, che necessitano di trasfusioni, di chi era sottoposto a operazioni chirurgiche e dei trasfusi. Infatti, quasi contemporaneamente al terribile caso degli emoderivati infetti, scoppiò lo scandalo del sangue infetto. Numerose sacche di sangue commercializzato contenevano i virus dell’HIV e dell’epatite B e C.
Agli inizi del 1983, il CDC su segnalazione della Cutter Biological, una sezione della Bayer, aveva allertato sulla possibilità che i prodotti emoderivati fossero responsabili delle infezioni virali tra i pazienti con emofilia. Nel maggio di quell’anno, un’azienda rivale della Cutter iniziava a trattare con il calore il fattore della coagulazione 8, utile agli emofilici, ottenendo un prodotto senza virus. Il 29 febbraio 1984 la Cutter aveva ottenuto, con altre case farmaceutiche, l’approvazione degli Stati Uniti per la vendita del concentrato per emofilici trattato termicamente, quindi sicuro. L’azienda tuttavia aveva continuato, presumibilmente fino all’agosto 1984, a produrre concentrato non trattato.
In una riunione interna alla Cutter era emerso che la casa farmaceutica aveva un eccesso di scorte di prodotto non trattato, sempre meno commercializzabile, considerato il nuovo prodotto. Per evitare di rimanere con un cospicuo numero di giacenze, pare che la Cutter aveva deciso di vendere il prodotto non termicamente trattato, il cui valore si aggirava intorno a diversi milioni di dollari, a Paesi dell’Asia e dell’America per poi vendere il prodotto più sicuro ai Paesi occidentali. Quando anche gli emofilici di Hong Kong cominciarono a rivelarsi positivi all’HIV, alcuni medici locali iniziarono a chiedersi se la Cutter stesse vendendo loro emoderivati infetti.
La Food and Drug Administration (FDA) statunitense, presumibilmente, aveva contribuito a mantenere un stretto riserbo su quanto stava accadendo. Nel maggio 1985, il controllore della FDA per i prodotti emoderivati, Harry M. Meyer Jr., ordinava di ritirare quelli non trattati ma chiedeva, forse colpevolmente, di non allertare il Congresso, la comunità medica e il pubblico sulle sacche non trattate che erano ancora in commercio.
La notizia però era trapelata ufficiosamente e nel luglio 1985, a causa della mancanza di mercati disposti ad acquistare il vecchio prodotto, la sua commercializzazione venne interrotta. Poiché era trascorso diverso tempo prima che venisse approntato un test efficace per la ricerca dell’HIV, non era stato possibile stabilire quando gli emofilici stranieri fossero stati infettati, cioè se prima che la Cutter iniziasse a vendere il prodotto trattato termicamente e quindi più sicuro, oppure dopo.
Il test Elisa, un acronimo per niente poetico derivante dall’espressione inglese Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay (dosaggio immuno-assorbente legato a un enzima), è un metodo d’analisi immunologica usato in biochimica per verificare se il sistema immunitario del soggetto sia stato contaminato dal virus dell’AIDS o dell’epatite C. L’obbligo della diagnostica alle sacche di sangue, era stato approvato negli Stati Uniti nella primavera del 1985.
Sfortunatamente il picco del contagio da HIV era già stato toccato fra il 1982 e il 1984. Insieme al temibile virus c’era inoltre una larga fetta di persone infettate dal virus dell’epatite C, sconosciuta anch’essa per lungo tempo. I tempi di individuazione del virus chiamato HCV furono ancora più lunghi. Il virus verrà isolato solo nel 1989 e il test reso disponibile nel 1991.
Dopo oltre 20 anni di processi, a marzo 2019 in Italia, pur in presenza di un nesso di causalità fra decessi e somministrazione del prodotto, non era stato possibile individuare quale emoderivato avesse provocato il contagio e a quale singolo paziente dunque l’accusa di omicidio colposo era stata annullata con una sentenza di assoluzione per tutti gli imputati perché il fatto non sussiste. Oltre a Duilio Poggiolini sedevano sul banco degli imputati un ex manager del gruppo Marcucci, un ex infermiere e i dipendenti di un’azienda specializzata nella raccolta e trasporto di sangue. La giustizia, nella maggior parte dei casi, sia in Italia che nel resto del mondo, aveva stabilito la mancanza di responsabilità da parte di coloro che dovevano vigilare sulla salute dei cittadini. I fatti sembravano dimostrare che le infezioni erano inevitabili, stante i limiti posti dalla loro individuazione.
La strage di questi pazienti le cui cure si sono rivelate controproducenti chiamando in causa case farmaceutiche e nomi importanti delle istituzioni e delle multinazionali del farmaco, erano finite con un nulla di fatto ovvero con assoluzioni, non solo in Italia ma anche in altri Paesi molto colpiti dalle infezioni come il Canada, dove ci fu l’inchiesta Kruger, e in Giappone. La scia di vittime contagiate da questi virus, a volte contemporaneamente, era stata nell’ordine dei 5000 morti. I più colpiti gli emofiliaci e i talassemici che necessitavano di sangue e dei suoi derivati ma anche i pazienti sottoposti ad interventi chirurgici.
Ciò che ha penalizzato l’Italia, per quanto riguarda una tempestiva eliminazione del sangue infetto, sono state, come al solito, la lentezza della burocrazia e l’inefficienza e inerzia della sanità pubblica. Ci sono voluti 11 anni per arrivare al primo Piano nazionale del sangue e 23 anni intercorsi tra la legge del sangue del ‘67 e la riforma degli anni ‘90.
Pur accettando i verdetti di non colpevolezza degli imputati chiamati a rispondere dell’ingente numero di morti infettati da un virus che non apparteneva al loro vissuto, è doloroso pensare che già a metà degli anni ‘60, negli Stati Uniti, si sapeva che dalle carceri dell’Arkansas veniva prelevato sangue da individui con problematiche mediche per poi distribuito in vari Paesi europei. Tornando indietro nel tempo si è ricostruito il percorso fatto da plasma e sangue infetto, dagli Stati Uniti al resto del mondo, Italia compresa.
Il cosiddetto sangue sporco aveva chiamato in causa le case farmaceutiche e la città di Rieti, dove aveva sede il quartier generale di AIMA Plasmaderivati. Tuttora il più importante impianto di lavorazione degli emoderivati di proprietà del gruppo Marcucci, anche oggi oligopolista in Italia della distribuzione di emoderivati. Le case farmaceutiche che avevano concordato di minimizzare i rischi del sangue e degli emoderivati non trattati includevano l’Alpha Therapeutic Corporation, l’Institut Mérieux (ora parte della Sanofi), la Bayer e la sua divisione Cutter Biological, la Baxter International e la sua divisione Hyland Pharmaceutical.
Era risaputo che i detenuti del famigerato carcere di Cummings in Arkansas, anche a causa delle condizioni detentive, erano in pessimo stato di salute. Nelle carceri americane e in particolare a Cummings si spaziava da rapporti sessuali non protetti a uso di droga, a malattie infettive, tanto che le condizioni detentive del carcere erano considerate incostituzionali. I detenuti di Cummings non venivano pagati per il loro lavoro, per cui l’unico modo per fare un po’ di soldi legalmente era quello di donare sangue ricevendo un compenso, seppur basso.
A Cummigs, dove dilagava la corruzione, erano poi gli stessi detenuti che gestivano il percorso del sangue. Le guardie carcerarie venivano corrotte perché anche gli infetti potessero partecipare. C’erano lunghissime file per donare sangue e molti detenuti maschi aspettavano il pagamento del sangue donato, per prostituirsi con altri detenuti. Nel carcere apparentemente gli aghi di prelievo non venivano cambiati fino a che non si spezzavano. Alcune indiscrezioni indicano che la Bayer si rifornisse direttamente al carcere di Cummings, saltando i passaggi intermedi.
Le industrie farmaceutiche sembravano essere al corrente che nelle prigioni americane c’era una più alta percentuale di casi di epatite B tra i detenuti, rispetto ai normali cittadini. Ufficialmente si faceva passare l’idea, da pubblicità ingannevole, che il sangue arrivasse dai campus degli studenti universitari e dalle massaie americane.
Il proprietario dell’HMA americana (Health Management Associates) il dottor Francis Henderson che si occupava di raccogliere il sangue nelle carceri dell’Arkansas ha raccontato di un suo viaggio nel 1982 a Rieti, nella sede dell’azienda Marcucci, finalizzato a spiegare l’operazione di recall, ossia il richiamo di alcuni lotti infetti.
Il caso giudiziario sul sangue infetto esplode in Italia nella sua interezza nel 1995, in un clima denso di sospetti e malcontento, nel pieno della bufera dei processi di Mani Pulite. All’atmosfera cupa del periodo si aggiungono ignoranza e disinformazione, dettati da un’emotività accelerata. Nella confusione generale il sangue infetto viene spesso erroneamente abbinato a quella che è stata definita la tangentopoli dei farmaci, legata al nome di De Lorenzo e Poggiolini, con cui però nulla aveva a che fare.
Il 20 settembre 1993 venne arrestato a Losanna, Duilio Poggiolini per via di una serie di accuse legate a manipolazioni e tangenti nelle procedure di gestione del servizio sanitario, in favore di grandi aziende farmaceutiche. Lo stile di vita modesto di Poggiolini, all’atto della perquisizione nel suo domicilio di Napoli, lasciò a bocca aperta il pubblico. Ci vollero dodici ore per catalogare i tesori nascosti nella casa che Poggiolini divideva con la moglie e il figlio disabile. Lingotti d’oro, gioielli, dipinti, banconote per miliardi di lire, monete antiche e moderne fra cui rubli d’oro dello zar Nicola e kruggerrand sudafricani, nascosti negli armadi o cuciti all’interno di divani, materassi e pouf, oltre a 15 miliardi di lire su un conto svizzero intestato alla moglie Pierr Di Maria.
Il dottor Duilio Poggiolini veniva indagato e poi rinviato a giudizio anche per il reato di epidemia colposa. Secondo i dati dell’associazione Politrasfusi italiani, tra il 1985 e il 2008 sono state 2605 le vittime di trasfusioni con plasma infetto. Il 25 marzo 2019 Poggiolini è stato assolto insieme ad altri otto imputati dall’accusa di omicidio colposo perché il fatto non sussiste. Il processo aveva stabilito che non era stata posta in essere alcuna condotta criminale, in relazione alla diffusione di sangue ed emoderivati infetti.
Il tribunale di Roma ha invece riconosciuto il ministero della Salute responsabile dei danni accertati a persone che hanno contratto l’HIV e il virus dell’epatite C, attraverso la somministrazione di emoderivati e sangue infetti. Il tribunale capitolino aveva riconosciuto che il ministero è stato troppo lento nell’introduzione di misure atte a prevenire la trasmissione di virus attraverso le donazioni di sangue e non aveva disposto opportuni controlli. Secondo l’associazione Politrasfusi italiani, 1.300 persone tra cui quasi 150 bambini, sono deceduti in Italia fino al 2001 a causa di emoderivati o plasma contaminati.
Ai pazienti cui è stato riconosciuto il danno causato da emoderivati o trasfusioni, sono stati riconosciuti esigui indennizzi in denaro. Molti aventi diritto sono nel frattempo morti e i loro eredi hanno percepito le spettanze di legge. Altri combattono ancora con le malattie che hanno contratto attraverso le “cure” necessarie. Per tutte queste persone, il riconoscimento del danno subito è solo una triste e misera consolazione. Oltre il danno anche la beffa.
AGGIORNAMENTO DEL 08 SETTEMBRE 2021:
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO DALLO STUDIO LEGALE CACCIAPUOTI DI GENOVA QUANTO SEGUE: