Niente “ascensore sociale” nel nostro Paese: il 34% degli adulti poveri viene da famiglie povere. Nella classifica europea siamo indietro.
Roma – Povertà e scuola, due aspetti che si attraggono. Gli ultimi dati statistici a cura di Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, hanno evidenziato la crescita della povertà nelle famiglie italiane, che, ormai, ha raggiunto il suo livello più alto. Quella italiana si distingue per la sua ereditarietà tra le generazioni. Nel senso che chi proviene da famiglie indigenti, resterà nella stessa condizione. Si è bloccato il cosiddetto “ascensore sociale”, che l’Enciclopedia Treccani descrive come “il processo che consente e agevola il cambiamento di stato sociale e l’integrazione tra i diversi strati che formano la società”. In altri termini, consente ad un individuo di innalzare la propria condizione sociale attraverso il lavoro, l’istruzione e la crescita economica. Quest’ascensore, da un bel po’, è bloccato al piano terra e non si riesce a ripararlo. Tra le cause di questa condizione, che spesso sono anche effetti, va segnalato l’abbandono prima del tempo della scuola non portando a termine il ciclo scolastico obbligatorio.
Ed ecco spiegata l’ereditarietà della povertà. I dati diffusi dall’Eurostat riguardano il 2023. In Italia ben il 34% delle persone comprese nella fascia d’età 25-59 anni fanno fatica a sbarcare il lunario, una condizione molto simile a quella delle loro famiglie quando erano ragazzi. Mentre in Europa ci si ferma al 20%. Inoltre, c’è un 14,4% degli adulti le cui condizioni sono peggiorate. Se oggi sono a rischio povertà, le loro famiglia durante la loro adolescenza erano in buone condizioni economiche. In Europa al 12,4%. Secondi i dati a disposizione l’Italia si trova in condizioni peggiori rispetto al periodo prima della pandemia e, precisamente, al terzo posto in questa sconfortante classifica dopo Romania e Bulgaria. Per cui non si è lontani dal vero nello stabilire una forte connessione tra la situazione economica e finanziaria durante l’adolescenza e quella in età adulta. Al vertice della classifica c’è la Danimarca e, ancora una volta, i Paesi nordici confermano l’affidabilità del loro welfare state.
Si tratta dell’unico Paese in cui adulti provenienti da famiglie povere non si sono ritrovati nelle stesse condizioni dopo. In dettaglio: l’8,5% per chi proviene da una situazione famigliare negativa e l’ 8,9% per ha avuto una buona condizione economica. Gli scarti tra i due gruppi sono piccoli anche in Finlandia (10,1% e 9,2%) e in Slovenia (10,9& e 10,4%). In questi meccanismi gioca un ruolo di primo piano la possibilità di accedere all’struzione. Come anche il buon senso avrebbe intuito, è stato rilevato dall’Eurostat che il rischio di povertà cresce dove i genitori hanno un titolo di studio più basso. In dettaglio, nel 2023, il rischio di povertà per la fascia d’età 25-59 anni equivale a: 19,1% per chi ha genitori con un titolo di studio inferiore alla licenza media; 10,2% per chi ha genitori con almeno il diploma; 8,5% per gli adulti con genitori laureati o con un titolo post-universitario.
Questa caratteristica è emersa anche nel Belpaese, seppur con quote diverse. Infatti, il rischio di povertà per le persone della fascia d’età 25-59 anni è: intorno al 22% per coloro i cui genitori hanno un titolo di studio inferiore alla licenza media; circa il 9% per chi ha genitori con almeno il diploma; intorno al 7% per gli adulti con genitori laureati o con un titolo post-universitario. In linea generale in Europa la gran parte degli under 60 con titolo universitario provengono da famiglie con diploma di scuola secondaria (39.5%) o una laurea (34,1%). Nel 26,4% da famiglie con diploma si scuola media inferiore. Sono dati preoccupanti che dovrebbero stimolare la politica ad incentivare programmi di crescita educativa per i più svantaggiati, che influiscono, poi, sulle loro condizioni economiche. Ma pare che si preferisce investire in armamenti!!!