Ci sono poche speranze che il Sud Italia possa invertire la rotta del declino intrapreso ormai da anni. È quanto risulta dall’analisi sulle economie regionali del Centro Studi di Confcommercio diffusa durante l’assemblea generale tenutasi il 7 giugno scorso.
Roma – È emerso che la forbice tra Nord e Sud del Paese si allarga sempre più, la crescita del Meridione per l’anno in corso è stimata tre volte meno del Settentrione. All’ultimo posto Calabria e Sardegna che segnalano crescita zero. La Lombardia è la regione che raggiunge il primo posto con una crescita dell’1,7%. Il Sud appare, quindi, in stato quasi comatoso e anche il livello dei consumi conferma questa condizione. A Sud si raggiunge il +0,4%, mentre al Nord +1,2%.
La stima del Pil (Prodotto Interno Lordo, ovvero la ricchezza prodotta da uno Stato) per quest’anno, divisa per aree geografiche è: +1,4% per il Nord, +1,2% al Centro e +0,5% al Sud. I ritardi di attuazione di molti progetti del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) hanno contribuito, senza dubbio, alla situazione attuale. Però, il report sottolinea che pretendere che il PNRR sia dotato di capacità taumaturgiche e che possa cambiare in poco tempo lo status quo è quantomeno ingenuo e fuori luogo. Certamente le riforme e gli investimenti potrebbero favorire le convergenze o, se non altro, rallentare le divergenze attuali. Inoltre, si invita l’attuale Governo ad accelerare la riforma in direzione di una maggiore autonomia locale differenziata.
Il Meridione soffre di un altro grave vulnus, ovvero il calo demografico. Infatti, a spopolarsi è solo il Sud. La popolazione italiana si è ridotta di quasi 1 milione di persone rispetto al 2019 e più della metà solo nel Sud, con regioni quali Molise, Calabria e Basilicata che arrivano a una percentuale di diminuzione tra l’11 e il 12%. Buona parte è costituita da popolazione giovanile con titoli di studio che emigrano all’estero e al Nord Italia. Una sorta di depauperazione coatta, culturale ed economica. Migliaia di teste pensanti sono costrette a trasferirsi altrove per mancanza di opportunità lavorative dopo aver investito risorse familiari, che non possono utilizzare in loco dopo aver conseguito i titoli di studio. E ci si meraviglia che il divario Nord-Sud sia cresciuto?
Ma lo sarà ancora di più con l’autonomia differenziata, ovvero il riconoscimento, da parte dello Stato, dell’attribuzione a una regione a statuto ordinario di autonomia legislativa sulle materie di competenza concorrente e in tre casi di materie di competenza esclusiva dello Stato. Insieme alle competenze, le regioni possono anche trattenere il gettito fiscale, che non sarebbe più distribuito su base nazionale a seconda delle necessità collettive. Con la situazione finanziaria di molte regioni del Sud, prossima al crack, è come staccare la spina a un malato in coma.
Il quadro è ancora a tinte più fosche nell’ambito del lavoro. Confcommercio enuncia, infatti, nel rapporto:
“Anche le dinamiche occupazionali evidenziano una maggiore criticità del Sud, unica area che registra, tra il 1996 e il 2023, una perdita di lavoratori e che nel 2023 non riuscirà a recuperare nemmeno i livelli di quasi 30 anni fa a fronte di una media nazionale del +6,5%. Gli effetti di questo calo occupazionale nel Sud si fanno sentire: tra il 1995 e il 2023 il contributo di quest’area al Pil nazionale è diminuito dal 24,1% al 21,7%”.
Qualcuno nelle “stanze della politica” è in grado di dare spiegazioni plausibili allo scenario delineatosi e, soprattutto, una possibile soluzione? È molto probabile che saremo sopraffatti da un mutismo assoluto.