Il viceprocuratore antimafia indagato per rivelazione di segreti investigativi che avrebbero agevolato la mafia: un terremoto che scuote le fondamenta della giustizia italiana.
Caltanissetta – È calato un velo di silenzio preoccupante su una delle più inquietanti vicende giudiziarie degli ultimi anni. Un silenzio che stride con la gravità assoluta dei fatti emersi e che solleva interrogativi sulla volontà di alcuni settori del sistema informativo di mantenere il caso nell’ombra. Michele Prestipino, magistrato di lungo corso e fino a pochi mesi fa viceprocuratore nazionale antimafia – dunque il numero due dell’ufficio più importante nella lotta alle organizzazioni criminali – è stato formalmente indagato dalla Procura di Caltanissetta per rivelazione di segreto investigativo con l’aggravante di aver agevolato la mafia.
Non si tratta di un’accusa qualunque. L’imputazione rappresenta uno dei reati più gravi che possa commettere un magistrato, soprattutto se si considera che Prestipino ha dedicato l’intera carriera alla lotta contro le mafie, partecipando a inchieste storiche e coordinando operazioni di altissimo profilo. L’ironia amara è che proprio chi doveva essere il guardiano più attento dei segreti investigativi antimafia rischia di averne violato la segretezza.
Le accuse che fanno tremare il Palazzo
L’ipotesi investigativa che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di Prestipino affonda le radici in quella che potrebbe essere definita una perfetta tempesta giudiziaria. L’origine di tutto sarebbe un’intercettazione ambientale. E qui emerge una prima, allarmante contraddizione: proprio quello strumento che l’attuale ministro della Giustizia Carlo Nordio considera “non utile” nelle indagini di mafia si è rivelato decisivo per scoprire un presunto tradimento ai vertici dell’antimafia.

La conversazione intercettata avrebbe immortalato un incontro che, alla luce delle accuse, assume contorni forieri di un vero e proprio sisma di massima magnitudo. I protagonisti, oltre al magistrato sotto inchiesta, sarebbero state due figure di assoluto rilievo negli apparati di sicurezza dello Stato: Gianni De Gennaro, ex capo della Polizia di Stato che ha attraversato decenni di storia italiana occupando posizioni di vertice durante i periodi più bui della strategia della tensione e delle stragi di mafia, oggi presidente di Eurolink (il general contractor per la progettazione del ponte sullo Stretto); e Francesco Gratteri, altro ex funzionario di polizia ora consulente della stessa società per le questioni legate alla sicurezza.
Ma chi sono realmente questi personaggi e quale peso specifico hanno nelle dinamiche di potere del Paese? De Gennaro, in particolare, è stato una figura chiave dell’intelligence italiana per decenni, ha ricoperto ruoli apicali durante alcune delle pagine più controverse della storia recente, dalle indagini sulle stragi agli anni del terrorismo. La sua transizione dal settore pubblico a quello privato, culminata nella presidenza di una società strategica come Eurolink, solleva inevitabili interrogativi sui possibili conflitti d’interesse e sulle porte girevoli tra istituzioni e business.

Secondo l’ipotesi accusatoria formulata dai magistrati di Caltanissetta, Prestipino avrebbe commesso quello che nel gergo giudiziario viene definito un tradimento istituzionale: rivelare ai due ex super poliziotti informazioni riservate di cui era a conoscenza esclusivamente per ragioni d’ufficio. Non si tratta di semplici indiscrezioni o di conversazioni informali tra colleghi: le informazioni erano coperte dal più stretto segreto investigativo e la loro divulgazione, secondo l’accusa, avrebbe non solo compromesso delicate indagini in corso, ma addirittura agevolato le organizzazioni mafiose che quelle stesse indagini stavano cercando di colpire.
Un terremoto con epicentro nella Direzione Distrettuale Antimafia
La vicenda assume contorni ancora più drammatici se si considera non solo il ruolo formale ricoperto da Prestipino ma anche il suo peso specifico all’interno della Direzione Nazionale Antimafia. Come numero due dell’ufficio diretto dal procuratore nazionale Giovanni Melillo, il magistrato inquisito aveva accesso privilegiato alle informazioni più sensibili e strategiche riguardanti le indagini su tutte le organizzazioni criminali del Paese. La sua scrivania era il crocevia di intelligence investigativa proveniente da decine di procure, un osservatorio privilegiato sulle dinamiche criminali nazionali e internazionali.
La posizione di Prestipino gli consentiva non solo di coordinare e supervisionare le più delicate operazioni antimafia a livello nazionale ma anche di avere una visione d’insieme unica sui collegamenti tra diverse organizzazioni criminali, sui loro rapporti con settori imprenditoriali e istituzionali, sui punti di forza e di debolezza delle indagini in corso. In sostanza, aveva accesso a quello che potrebbe essere definito il “sistema operativo” dell’antimafia italiana.
Questa posizione di assoluto privilegio informativo rende ancora più grave la condotta contestata (qualora le accuse venissero confermate). Non si tratta infatti della rivelazione di singole notizie isolate ma potenzialmente della compromissione di un intero sistema di conoscenze investigative che rappresenta il risultato di anni di lavoro, sacrifici e rischi di centinaia di magistrati, investigatori e collaboratori di giustizia.

La reazione del procuratore nazionale Giovanni Melillo è stata immediata e spietata: la revoca istantanea di tutte le deleghe di coordinamento investigativo a Prestipino fotografa non solo la gravità tecnica della situazione, ma anche il disagio profondo di un’istituzione che si trova a dover gestire un terremoto interno di proporzioni inaudite. Melillo, magistrato di indiscussa autorevolezza morale, si è trovato costretto a prendere una decisione che equivale ad una condanna morale anticipata del suo vice, un atto che – verosimilmente – nessun capo vorrebbe mai compiere.
Numerosi interrogativi rimangono aperti e necessitano di chiarimenti urgenti. Perché Prestipino avrebbe ritenuto di condividere informazioni così sensibili? Quali e quanti soggetti privati sono rappresentati da De Gennaro e Gratteri nelle loro attuali funzioni? Esistono conflitti d’interesse non dichiarati che potrebbero aver influenzato le loro azioni?
La scelta di Prestipino di avvalersi della facoltà di non rispondere durante l’interrogatorio, pur essendo un diritto legittimo, non contribuisce certo a fare chiarezza su una vicenda che richiede trasparenza assoluta.