Lo consideriamo universale ma ciascuno ne ha un’idea personale che coincide molto poco con quella degli altri, secondo lo studio Usa.
Roma – Il “senso comune” non è…a senso unico! Spesso si è sentito parlare del “senso comune”, che non è quello dell’…ente locale territoriale! Ma, di qualcosa che va da sé e che appartiene a tutti, nello stesso tempo ordinario e condiviso intersoggettivamente. Secondo la sociologia “Si può parlare di senso comune come di un sistema culturale perché, innanzitutto, si tratta di un insieme di quadri di pensiero, di rappresentazioni e di schemi percepiti che presentano sia aspetti cognitivi sia simbolici, utilizzati dai soggetti a un livello implicito. È dunque un sapere incorporato in pratiche e regole sociali, presente nella mente allo stato latente, che può quindi essere mobilitato senza rendersene conto”.
L’Università della Pennsylvania ha effettuato uno studio sul grado di condivisione del senso comune su un campione di 2046 persone. Facendo loro valutare migliaia di affermazioni secondo una sequenza del buon senso. Il risultato è stato che il gruppo non ha espresso considerazioni condivise tra i componenti. Su frasi banali, tipo “l’alba avviene un attimo prima che sorge il sole” o “con la notte c’è buio” la condivisione è stata, pressoché, totale. Su altre, riguardanti le relazioni umane e sociali, le divergenze sono state marcate. Sul modo diversificato di esprimere il proprio modo di pensare, non hanno influito variabili quali età, sesso, reddito. Le… “cavie” dell’esperimento dovevano esprimersi sia quando il concetto fosse di senso comune loro che di altre persone.
I convincimenti personali incidevano molto sulla definizione di senso comune, quindi il giudizio positivo o negativo variava a seconda delle circostanze. Secondo gli autori dello studio “tende ad esserci una ragionevole quantità di convinzioni in comune tra due persone, ma come società manca un senso comune a tutti”. L’accordo sulla concezione del buon senso si è realizzato tra persone che hanno una certa frequenza nel relazionarsi senza, tuttavia, essere consapevoli che sono pochi gli argomenti su cui ci sia unanimità di giudizio. Altre teorie hanno evidenziato che, in realtà, il senso comune dipende più dalle azioni quotidiane che da ciò che si pensa, come ad esempio il valore del denaro che è tale, perché esiste una convinzione condivisa. In realtà la definizione del “senso comune” è molto complicata.
Infatti, non c’è ne è una che possa essere onnicomprensiva, perché le variabili sono tante e varie, sia contestuali che personali. Il buon senso varia, per esempio, da quartiere a quartiere di una grande città, così come da questa e un piccolo paese. Come disse il filosofo Voltaire “il buon senso in realtà e il meno comune dei sensi”. Vale a dire che, essenzialmente, una tale unanimità è reale o percepita, soprattutto quando si tratta di capire cosa è logico o cosa aspettarsi in ogni situazione. In fin dei conti, è meglio essere fornito di un “senso comune” senza… senso. Con tutti i danni che esso ha provocato nel corso dei secoli su giovani, mogli e donne in generale, forse è meglio perderlo. Forse ce ne potremmo avvantaggiate tutti!