L’attore siciliano è fra quelli più amati dagli appassionati di fiction di polizia ma è anche un grande artista di teatro che presto ci auguriamo di rivedere sul palcoscenico nei personaggi che gli sono più congeniali
Di lui si ha un’immagine seriosa, quasi severa, certamente composta. E non potrebbe essere diversamente, stando nei panni del Questore Licata dal 2009, personaggio questo, tra i più amati delle fiction televisive degli ultimi dieci anni. Ma a scambiarci qualche frase ti rendi conto subito, invece, di quanto sia ben disposto al sorriso, al fare cordiale.
Bruno Torrisi, nato a Giarre, in provincia di Catania, diplomatosi alla scuola d’arte Drammatica del teatro Stabile di Catania nell’ ‘87 sotto la direzione di Giuseppe De Martino, ha calcato diversi palcoscenici, spaziando da Goldoni, Tasso, Verga, a Vittorini, Euripide, Gorkij e Cocteau. Mentre nel cinema ha lavorato con Bellocchio, Tornatore, Battiato, Scimeca. Ma il successo è arrivato con la televisione, con le tante partecipazioni ad altrettante fiction: Borsellino, Carabinieri, Il capo sei capi, Un caso di coscienza, Squadra antimafia, Romanzo siciliano, Boris Giuliano e Rosy Abate, solo per citarne alcuni. Affondo la prima domanda per Pop:
Vittorio Gassman diceva ‘’Si recitano ruoli di eroi perché si è vigliacchi, ruoli di santi perché si è delle carogne, ma più di tutto si recita perché altrimenti si direbbe diventerebbe pazzi. È d’accordo?
“…Lo diceva anche il mio maestro Giuseppe Di Martino – esordisce Bruno Torrisi – ma credo che usasse questo aneddoto (perché altro non è) per stimolarci nell’interpretazione di personaggi molto diversi da noi. Ma se devo rispondere con sincerità non mi trovo d’accordo, il teatro è più di semplici luoghi comuni, recitare è un argomento molto più complesso…”.
Da dove nasce la passione per il teatro?
“…Non ho cominciato a fare teatro per passione, la passione è cresciuta col tempo – aggiunge Torrisi – mi sono avvicinato al teatro per curiosità. Poi a poco a poco me ne sono innamorato, a volte anche disinnamorato, diciamo che ho sempre avuto un rapporto di amore/odio. L’amore è andato via via scemando mentre l’odio…”.
Lei ha lavorato con Tornatore, il quale ha raccontato una Sicilia a volte crudele ma non soltanto quell’aspetto. Ha esaltato una ‘’sicilianitudine’’ fatta di memoria, di nostalgia per un ‘’tempo che fu’’ altrettanto importante da far conoscere. Ora però le fiction hanno, in buona parte, una collocazione siciliana ma di questa realtà territoriale esaltano principalmente l’aspetto malavitoso. Si è trovato sempre a suo agio, da siciliano, nelle storie dove si descrive una società violenta oppure pensa che a volte si sia forzatamente sfruttato il filone?
“…Questo è, ormai, come tanti altri che riguardano il sud in genere, un luogo comune – afferma Torrisi – vedo tanti polizieschi ambientati in altre regioni d’Italia. Sì è vero che per un periodo di tempo l’argomento mafia è stato sfruttato da più produzioni e che alcune hanno messo un po’ in cattiva luce la Sicilia, forse, ma spesso non si produce per una reale necessità artistica ma per esigenze di mercato, per accontentare il palato del pubblico che a periodi preferisce un argomento piuttosto che un altro. Penso alla quantità di prodotti televisivi e cinematografici dedicati ai narcotrafficanti del sud America ma il mio buon senso non mi fa pensare all’America latina come un luogo dove c’è solo droga e malaffare, sono nazioni che hanno tanto altro da offrire: letteratura, arte, natura…
Per tornare alla Sicilia credo che sia giunto il momento di valorizzare altre storie, altre realtà, c’è tanta bellezza ancora da raccontare. Quindi sì, si è un po’ volutamente forzato il filone mafia. Ma distinguerei due modi differenti di trattare l’argomento, quello di denuncia e quello meramente commerciale. Chiaramente preferisco il primo. Raccontare e ricordare le atrocità inflitte dalla mafia alla nostra terra è doveroso, è anche questo un modo per combatterla…”.
Paolo Grassi diceva: ‘’Il teatro è un diritto e un dovere per tutti. La città ha bisogno del teatro, il teatro ha bisogno dei cittadini’’. Eppure far crescere culturalmente la città e i cittadini non è un’esigenza sentita da chi detiene il potere:
“…Aggiungerei una necessità della quale l’uomo non può proprio fare a meno – continua l’attore – fa parte della comunicazione fra individui. Fin dalla preistoria l’uomo ha fatto uso della narrazione e dunque della rappresentazione della realtà per comunicare con i suoi simili. Il teatro nasce con l’uomo, è un “punto di vista” utile a migliorare i nostri rapporti sociali, è informazione, è stupore, spiritualità, meraviglia, rito, specchio e confronto, induce ad avere senso critico e a sviluppare proprie opinioni, educa al bello e alla pace, ed è per questo e per tanto altro, che spesso non sta simpatico al potere. Non tutti i poteri amano un popolo pensante…”.
La rivedremo nei panni del questore Licata, il commissario nella serie squadra antimafia?
“…Credo proprio di no, considero chiusa questa avventura durata più di dieci anni – risponde secco Torrisi – un po’ mi dispiace perché mi ci ero affezionato. Ha lasciato in me dei ricordi indelebili, mi ha letteralmente cambiato la vita, mi ha dato notorietà, mi è servito per imparare, mi ha permesso di conoscere colleghi fantastici ma come tutte le cose di questa terra, anche questa è giunta al capolinea e per certi versi posso dire che forse è meglio così: mi piacerebbe fare altro, non so cosa, ma mi piacerebbe fare qualcosa di molto diverso…”.
E in teatro?
“…Quest’anno mi sarei cimentato nel ruolo del Cavaliere di Ripafratta ne “La Locandiera” di Goldoni – evidenzia Torrisi – se non fosse stato per il Coronavirus avremmo debuttato il 21 marzo. Avevamo già cominciato le prove e… Non riesco ancora a mandarla giù…”.
Come immagina, stando alla situazione critica d’oggi, il prossimo futuro del teatro?
“…Nella più rosea previsione torneremo a fare teatro con le stesse modalità di prima, nel bene e nel male, ma con meno soldi – conclude Bruno Torrisi – ci vorrà del tempo. Nel frattempo mi auguro che nella nuova generazione di attori cominci a germogliare il seme del cambiamento, spero vivamente che in questo periodo, come in ogni periodo tragico, si possano gettare le basi di un nuovo teatro, un nuovo teatro che favorisca chi questo lavoro lo fa ancora con onestà, scevro da quelle vecchie e usurate abitudini di alcuni, libero dagli inciuci, dai favoritismi e dalle incompetenze che, a volte, ci hanno fatto perdere l’affetto del pubblico e reso complici del declino culturale di questo paese. Ma non so se vivrò tanto da poterlo vedere. E siccome l’arte è una necessità di vita… Finché c’è vita c’è teatro…”.