Un antico motto recita: “Il cane morde sempre lo stracciato”. Ossia, la sorte maligna si accanisce contro chi è già in difficoltà. Lo stesso concetto potrebbe valere per il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che non sembra avere a cuore la parità di genere.
Roma – È quanto emerso da un’indagine di Period Think Tank sull’impatto dei fondi PNRR sull’occupazione femminile e i giovani. Si tratta di un’associazione femminista, un serbatoio di idee che utilizzando gli open data, ovvero dati accessibili a tutti, che promuove la parità di genere. Ebbene, delle gare analizzate, ben il 96% non prevede alcun trattamento favorevole alla parità di genere. In altre, le percentuali sono al di sotto del 10%. Infatti, in entrambi i settori in cui verranno riversati la gran parte dei fondi, digitalizzazione e turismo, la percentuale è del 5,6.
La situazione è complicata dalla mancata trasparenza dei dati aperti da parte delle istituzioni, che non riescono, o non vogliono, raccogliere e disaggregare i dati utili per valutare l’impatto di genere delle opere pubbliche. Anche i dati messi a disposizione sono inaffidabili e non aggiornati. Due aspetti che violano la loro trasparenza e pubblicità, obbligatorie per legge. Eppure, il decreto legge 77/2021 ha previsto il cosiddetto “gender procurement” (letteralmente “acquisto di genere”). Sono norme per l’inclusione lavorativa femminile, i giovani con età minore ai 36 anni e i portatori di disabilità. Inoltre, il decreto garantiva almeno il 30% di assunzioni per la realizzazione delle opere, di giovani e donne. Ma l’Italia è il paese delle deroghe, in cui siamo maestri assoluti.
Per la cronaca, col termine deroga, secondo i manuali di diritto, si intende una situazione in base alla quale una norma giuridica non trova applicazione, oppure viene disapplicata in luogo di altra norma, nelle ipotesi stabilite per legge. È vero che l’Italia è la patria del diritto, però col tempo si è trasformata in patria del… rovescio, per i cittadini ovviamente! Si è raggiunto un tale livello di abilità, anche di cinica raffinatezza, nel produrre norme, cavilli e codicilli che, spesso, basta una virgola in più o in meno, per cambiare il senso e il significato di una legge. A questo proposito, sono sintomatiche le dichiarazioni di Giuliano Amato, ex presidente del consiglio e della Consulta, nonché più volte ministro, rese nel 2009 in relazione al decreto del 1985 sulle tv di Berlusconi.
Amato, da vero funambolo del diritto, mutò la parola “provvisorio” in “transitorio” e disse testualmente: “Sa, noi giuristi viviamo di queste finezze: la distinzione fra transitorio e provvisorio è quasi da orgasmo per un giurista… Quando discuto attorno a un tavolo tecnico e qualcuno dice ‘questa cosa è vietata’, io faccio aggiungere ‘tendenzialmente‘”. Ecco, come siamo messi! Infine, l’indagine ha sottolineato che le misure premiali e le quote femminili sono presenti in ambiti in cui già c’è una marcata percentuale femminile, quali la sanità, il turismo e i servizi sociali. Mentre sono più basse dove sono investite la maggior parte delle risorse finanziarie.
Sulla parità di genere, a tutti i livelli, c’è ancora tanta strada da fare, il percorso è lungo e tortuoso. Non bastano leggi ad hoc, se poi vengono disattese con meccanismi subdoli. È necessario un vero cambio di paradigma culturale senza sotterfugi di sorta, senza se e senza ma, che metta al primo posto la trasparenza e la certezza del diritto. E soprattutto senza tanti arzigogoli, che servono solo ad ingannare i cittadini comuni. Altrimenti, tra qualche tempo, ci troveremo, per l’ennesima volta, a raccontare situazioni del genere. E questo non è sano per una democrazia.