Le modifiche al Piano nazionale di Ripresa e Resilienza provocano accesi dibattiti politici e forti critiche. Il via libera preliminare dell’Unione Europea e le revisioni mirate aprono nuove prospettive, mentre le scelte di rimodulazione suscitano reazioni contrastanti, incluso il taglio di fondi per la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie.
Roma – Il Pnrr è ormai il grande imputato. Un imputato che può cambiare la fisionomia del Paese in termini di sviluppo dunque, comprensibilmente, dev’essere per forza di cose oggetto di valutazioni, critiche e commenti. Da poco il governo ha comunicato le modifiche al Piano nazionale di R. e R., ovvero la rimodulazione del piano che dovrà passare sotto la lente della Commissione europea, per poter ottenere l’ok definitivo. Saltano 9 progetti, per un valore di 15,9 miliardi su 191,5 che saranno impiegati per altre misure realizzabili entro il 2026. Ma il governo assicura che gli interventi tagliati saranno comunque “completamente finanziati” in altro modo, con altre tipologie di fondi come il “Fondo sviluppo e coesione”.
In ogni caso, è stato concesso il via libera preliminare Ue alla terza rata del Pnrr e alla revisione mirata della quarta rata. La Commissione europea ha approvato una valutazione preliminare positiva di 54 traguardi e obiettivi collegati alla terza richiesta di pagamento. Ma non solo. La Commissione ha approvato anche la revisione mirata del Pnrr dell’Italia, relativa alla quarta richiesta di pagamento. È entrato nel Pnrr il capitolo RepowerEu, con le misure per accelerare la transizione green e l’autonomia energetica del Paese, che vale oltre 19 miliardi. Le proposte di modifica arrivate dalle amministrazioni sono in tutto 144 sui 349 ancora da raggiungere entro il 2026. Tra le voci uscite dal Pnrr, c’è la valorizzazione dei beni confiscati alle mafie, in tutto 300 milioni.
E su quest’ultimo punto che si fa sentire l’associazione Libera di Don Ciotti con un tweet:
“Grave la decisione del Governo di cancellare 300 milioni del Pnrr #beniconfiscati. Una scelta che penalizza i Comuni che hanno progettato e improvvisamente, si trovano senza risorse per trasformare il tesoro mafioso in beni comuni”.
Su questo punto le opposizioni incalzano il governo. Infatti, di fronte a scelte scellerate come questa, afferma Nicola Fratoianni:
“Ricordare Falcone, Borsellino e le vittime di mafia diventa ritualità vuota. E d’altra parte, le offese di Salvini a Don Ciotti di qualche giorno fa e la messa in discussione del reato di concorso in associazione mafiosa sono segnali pessimi che questo governo continua a dare. Ma non si vergognano mai?”.
Il discorso su questi dossier merita di essere sviluppato meglio e a parte per evitare il rischio di cadere nella logica perversa degli slogan. Don Ciotti è stato già protagonista di un durissimo botta e risposta con il ministro dei Trasporti e vicepremier Matteo Salvini, a proposito del Ponte sullo Stretto, di cui abbiamo parlato in altro articolo. In qualunque modo ed al di là delle solite polemiche e provocazioni, con offese reciproche e rimandi al mittente, il tema centrale pare essere se ci sono o no anche dei rischi dietro la febbricitante corsa al Ponte di Messina ripartita di colpo dopo anni di promesse, rinvii, rinunce ed oblio.
Insomma, il Ponte di Messina, di cui si vagheggiava almeno dal 1960 quando si magnificava il progetto dell’americano David B. Steinmann, non è ritenuto dalle opposizioni una priorità per il Mezzogiorno dove ancora le ferrovie restano a volte medievali. Le ultime notizie riportano la notizia di finanziamenti per strade ed appunto ferrovie al Sud. Speriamo sia vero. Si è portato sempre avanti, così facendo, l’idea che il rischio è, in ogni caso, quello di creare un enorme affare per la criminalità delle due sponde, e non solo. Allora meglio non fare mai niente, dato che il pericolo “infiltrazione criminale” è sempre possibile per ogni opera pubblica…? Lo stesso Nicola Gratteri, per esempio, durante una delle tante interviste rilasciate disse: “Non si può pensare che le opere pubbliche importanti, come l’Alta velocità, non si possono fare in Calabria perché c’è la ’ndrangheta. Le opere pubbliche si devono fare, eccome…”.