Risollevarsi si può ma la politica ha un ruolo determinante. Sanità, lavoro, scuola, terziario e riforme sono appuntamenti imprescindibili. Non possiamo più attendere. Dopo gli auguri, i fatti.
L’anno che verrà. Così titola una celebre canzone di Lucio Dalla e questo è oggi il pensiero di tutti noi, con una vigilia che ci ha messo anche un po’ di ansia, ammettiamolo.
Non è stato un 31 dicembre come gli altri, questo è ovvio. Quello che ci siamo lasciati alle spalle è un anno come non se ne vedevano da tempo, tanto tempo; qualcosa che le ultime generazioni non avrebbero mai pensato di vivere, che i nostri anziani speravano di non dover più ripetere.
“Il più grande profeta del futuro è il passato” cita Lord Byron, e mai aforisma fu più azzeccato. Cosa resterà di questo 2020? La memoria preserverà per sempre il maledetto Covid e le sue conseguenze. Le immagini delle città deserte, la sensazione della paura, le troppe persone che ci hanno lasciato, la crisi sociale ed economica, l’allargarsi del divario tra ricchi e poveri.
Perché c’è anche chi serberà un buon ricordo di questo infausto anno, anche se sembra impossibile. I dati che arrivano da colossi come Facebook, Amazon, Microsoft e Twitter – per citare qualche esempio – parlano chiaro. A questi signori il Covid ha portato fortuna, e tanta. E non staremo a parlare delle doti più o meno oneste di certi presunti filantropi dalla doppia faccia nel rispetto dell’intelligenza di chi legge.
L’Italia è uno di quei Paesi che ha maggiormente pagato il peso della pandemia, complice una classe politica inadeguata, imbarazzante – tutti, maggioranza e opposizione – con al seguito un’accozzaglia di burocrati che nulla comprendono se non numeri e statistiche, senza fermarsi a riflettere che dietro la fredda matematica ci sono persone, esseri umani.
L’Italia, già zoppicante e martoriata da politiche disastrose e guidata da scendiletto della Magna UE, si è vista infliggere un colpo micidiale. Tra un “ce lo chiede l’Europa” e una lacrimuccia di circostanza a telecamere accese, i nostri politici non si sono fermati un solo secondo a pensare ad altro. Magari ad un “ce lo chiede l’Italia”, quel Bel Paese fatto di artigiani, commercianti, lavoratori, padri e madri di famiglie.
Gli stessi artigiani che sono oggi sull’orlo del fallimento, gli stessi commercianti indebitati che non sanno se potranno riaprire le proprie attività, gli stessi lavoratori che non hanno mai visto la cassa integrazione, le stesse famiglie che vediamo in coda alle Caritas, gli stessi genitori che non sanno cosa mettere in tavola né come fare per poter dare un futuro ai propri figli.
Mentre si sperpera denaro in task force dalla dubbia utilità, mentre un virologo prende poco meno di 10 mila euro per dire banalità in televisione, mentre si continuano ad accogliere disperati che arrivano sui barconi, anch’essi condannati ad una vita di miseria, protagonisti di un esodo che da un inferno li catapulta in un altro, dietro false e criminali promesse di individui senza scrupoli.
Mentre si stanziano milioni per un green new deal che appare insulso se pensiamo al futuro nebuloso delle prossime generazioni. E via discorrendo, cifre vertiginose gettate in sciocchezze che non placano fame e miseria. Mentre gli gnomi della finanza banchettano sulla carcassa del leone. È il lato umano ad essere latente, da troppo tempo.
È la vita nella sua essenza più autentica che va riscoperta. Quello che abbiamo visto nell’ultimo anno è stato solo l’amplificarsi di una situazione che si trascina da tempo: un popolo che arranca giorno dopo giorno, preda di paura e incertezza, privo della luce che una volta lo animava. Questo è esistere, non certo vivere.
In un simile scenario, la tragedia è dietro l’angolo, basti pensare all’aumento esponenziale delle richieste di consulti psicologici da inizio pandemia. Eppure pare si voglia restare ciechi a notizie quotidiane di suicidi che strappano uno sguardo accigliato e nulla più, intanto si tratta di un nome su un giornale, pazienza se quel nome apparteneva a un padre, a un marito, a un figlio. La vita è già difficile, non possiamo accollarci anche le sofferenze altrui. Giusto?
Oppure, una donna viene brutalmente assassinata – dal compagno, da uno sconosciuto – ormai non fa notizia. Dispiace ma che si può fare? Ci si abitua. Succede. Agli altri, sempre e solo agli altri. E poi, un giorno, gli altri siamo noi. Ed ecco il brusco risveglio. Può succedere a tutti. A tutti.
Forse il Covid, nel suo essere primitivo, ci ha insegnato questo. E allora, forse, se riusciamo a capirlo, o anche solo a percepirlo, può esserci speranza. Se riusciamo a ritrovare l’empatia, dote in estinzione, potrebbe accadere una svolta. Ritrovare un’unità, un senso di appartenenza ad una collettività che respira all’unisono, una sincronia di cuori perfetta.
Utopia? Può darsi, ma perché no? In fondo, volendo rispolverare un po’ di amor patrio, siamo italiani.
La nostra storia è piena di alti e bassi, di disastri e di bellezza; è il cammino di un popolo in grado di farsi strada tra i sentieri più tortuosi, capace di errori inenarrabili eppure artefice di indicibili meraviglie. Riscoprirsi popolo, oltre che individuo. E questo deve partire dalla gente vera, dalle città, dalle periferie, dai quartieri dimenticati, perché certamente non arriverà nulla dagli annebbiati signori incollati sugli scranni romani.
Ripartire si può, insieme, perché questa volta o ci si salva tutti o non si salva nessuno. Non sarà impresa facile ma varrebbe la pena di tentare, ognuno nella propria personale battaglia, di rivolgere anche solo un gesto o una parola gentile al prossimo. Allora forse riusciremo ad essere tutti un po’ più coraggiosi e ottimisti.
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