Ci siamo lasciati alle spalle il progresso per dare il via al depauperamento del patrimonio ambientale,linfa vitale per tutte le creature del mondo.
La foresta amazzonica, il polmone verde del pianeta è in pericolo. Il presidente del Brasile, Jair Messias Bolsonaro, ne rivendica il possesso, come se si potessero possedere beni essenziali come l’acqua e l’aria che gli alberi trasformano e migliorano, rendendole fruibili alle indispensabili funzioni vitali necessarie a tutti gli esseri viventi: capitale inestimabile. La foresta ospita fino a 500 comunità indigene e circa 3 milioni di specie di animali e piante indispensabili all’ecosistema. Il bacino idrico che l’attraversa, il Rio delle amazzoni, è considerato il corso d’acqua più lungo del mondo con i suoi milioni di chilometri. L’intera area ha un’estensione che supera i 7 milioni di chilometri quadrati, mentre la foresta pluviale vera e propria ne occupa circa 5,5 milioni, più o meno 18 volte l’Italia. Da sola, la foresta amazzonica costituisce circa la metà di tutte le foreste pluviali ancora esistenti sulla Terra; il suo ecosistema è estremamente diversificato, conta oltre 16mila specie di piante e si stima che nel complesso ospiti oltre 390 miliardi di alberi.
E’ chiaro che la sua preservazione non è solo importante per tutelare la vita delle migliaia di specie che la popolano, ma anche essenziale per mantenere il giusto equilibrio di ossigeno nell’atmosfera. La foresta amazzonica si trova per il 60% in territorio brasiliano ma occupa anche Colombia, Perù, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana, Suriname e Guyana francese. La quantità di incendi di quest’anno nella foresta amazzonica è anomala e allarmante, se confrontata con quelli degli anni precedenti. Il fatto che Bolsonaro si sia detto più volte favorevole alla deforestazione ha probabilmente indotto i coltivatori ad appiccare più incendi del solito, sapendo di correre, dal punto di vista legale, minori rischi rispetto a un tempo; difatti molti degli incendi scoppiati in questi mesi nella foresta amazzonica, soprattutto in Brasile, sono dolosi, innescati per accelerare la deforestazione e sfruttare il terreno per le coltivazioni.
Le popolazioni indigene sono state costrette alla fuga, strappate dal loro habitat, forzate a scegliere se andar via o venire sopraffatte dal fuoco. Nel mondo sembra primeggiare l’indifferenza e la modalità predatoria ha preso il sopravvento tra tutte le attività umane. Si ingurgitano ettari di terreno, sovrapponendo cemento e scaricando residui di idrocarburi; alla bellezza ed alla vita si sostituiscono cenere, tossine e metallo. Le azioni dei governi di questi territori, a tutela dell’insostituibile patrimonio ambientale, sono blande se non addirittura compiacenti.
Nonostante l’offerta di aiuto da parte di altri governi, ci si nasconde dietro una finta incapacità di fronteggiare il fenomeno dilagante degli incendi. Viene logico domandarsi cosa si nasconda dietro tutto questo, cosa se non il desiderio di potenza, la brama e la ricchezza. E’ evidente che dietro ci sono le mire di coloro che hanno scelto di fare accordi con chi si nutre in maniera bulimica delle risorse del Pianeta, con chi agogna di conquistare un ruolo di primo piano nelle classifiche degli Stati più ricchi e potenti. Sono cioè le motivazioni che da sempre hanno spinto gli esseri umani ad atti vili nei confronti di chi non può difendersi. Bolsonaro accusa gli ambientalisti di essere visionari, ma evidenze scientifiche confermano che il punto di non ritorno, causato proprio dall’ avidità di personaggi come lui, potrebbe avvicinarsi sempre di più.
Viene logico chiedersi cosa si nasconda dietro tutto questo, cosa se non il desiderio di potenza, la brama e la ricchezza e cosa impedisca agli esseri umani di prendere coscienza dell’autolesionismo insito in questi comportamenti. Tra le risposte, una potrebbe essere la mancanza di responsabilità, l’altra il non riconoscimento del giusto valore al patrimonio ambientale se non quando questo esso viene distrutto: l’economia del disastro, delle catastrofi.
Probabilmente sarebbe solo utopistico predisporre fondi per dare valore economico proprio ad un patrimonio di beni immateriali, magari creando addirittura moneta, ma forse sarebbe l’unico modo di salvaguardare tale patrimonio dalle mire di potere e ricchezza. Manca del tutto la percezione tangibile della convenienza: un patrimonio, oggi, per essere ritenuto tale, necessita di spendibilità.
E’ necessario e improcrastinabile che i popoli consapevoli ed evoluti si riuniscano per dare vita ad un organismo internazionale che dichiari la tutela dei beni ambientali come patrimonio indisponibile allo sfruttamento ed all’ inquinamento. Non servono sanzioni ma interventi efficaci. Bisogna dare una risposta concreta al dramma che sta vivendo l’Amazzonia.