Il mostro di Roma/ Seconda parte

Sette bambine dai 18 mesi a 9 anni vengono orrendamente seviziate e uccise. La polizia “fascista” opera rastrellamenti piuttosto che effettuare indagini. Gli errori non si contano. Infatti l’inchiesta prenderà la direzione sbagliata.

Roma – Le indagini vengono improntate sul triste quanto inutile schema squadrista. La Regia Polizia rastrella vicoli e dormitori in cerca di storpi e malati di mente, ritenuti le uniche creature talmente subumane da poter compiere simili nefandezze. Nonostante le testimonianze portino in toto nella direzione di un uomo distinto, dai modi raffinati e non del posto, la polizia persiste nell’errore investigativo perdendo tempo prezioso. Tempo che passa e che porta con sé le prime vittime collaterali.

La pubblica sicurezza opera rastrellamenti ma le indagini segnano il passo

In via di Ripetta 69 c’è una stireria. Un grande omone dal naso pronunciato e con grandi orecchie a sventola bazzica spesso nei paraggi. Quell’uomo è Francesco Imbardelli ed è spesso nei dintorni perché le dipendenti di quella stireria gli danno qualche spicciolo di tanto in tanto. Imbardelli ha 32 anni ed è affetto da ritardo mentale. Nella medesima via vivono Giovannina Zeloni, una dipendente della stireria, Zelinda Carmignani, la proprietaria della stireria e Leonilde Bolletti una tappezziera. La sempre più crescente “psicosi da mostro” si fonde inesorabilmente col chiacchiericcio del volgo. Le tre comari si convincono che Imbardelli sia il mostro a causa dei suoi problemi mentali che lo portarono in passato in vari istituti psichiatrici e che, soprattutto, lo porterebbero ad una insoddisfazione sessuale nei confronti di donne mature. Le tre si rivolgono a un ex carabiniere ed investigatore privato, Vittorio Pellegrini. Il detective pedina per qualche tempo Imbardelli, fino a presentarsi un mattino al ricovero Regina Elena col maresciallo Fiore per arrestare il sospettato.

Via di Ripetta

Nonostante l’Imbardelli risulti immediatamente estraneo ai fatti la sua debole posizione mentale lo porta a confessare dopo essere stato torchiato dagli inquirenti. La deposizione risulta però infarcita di errori fattuali, inoltre il sospettato è in possesso di un alibi a sua insaputa. Il direttore del dormitorio di via Flaminia, dove il poveruomo dorme, lo collocano proprio in quel luogo la sera del 4 giugno, giorno dell’omicidio Carlieri. La versione viene confermata anche da un compagno di branda. Considerata la situazione Imbardelli viene scarcerato. Morirà nel manicomio a di S. Maria della Pietà nel 1959.

Oltre a Francesco Imbardelli, il pettegolezzo fu fausto anche per Amedeo Sterbini, un vetturino scontroso e scorbutico che viene prima schernito poi additato come il mostro dai soliti conoscenti imbecilli. Si suiciderà il 2 luglio 1924 ingurgitando acido muriatico, in tasca 2 lettere in cui dichiarava la sua totale estraneità ai fatti.

Nella Roma degli Anni 20 non ci sono molte automobili, ma ce n’è una in particolare, una Peugeot di colore giallo verdognolo che il 3 aprile 1927 si trova parcheggiata in via Tibullo, dove al numero 20 vivono l’ingegner Dante Pacciarini e la moglie Cecilia. Con loro vive anche la giovane domestica di 13 anni Olga Naticchioni, che proprio in quel momento e sotto lo sguardo del padrone di casa, che dalla finestra la osserva mentre chiacchiera con un uomo al volante della Peugeot. Quell‘auto francese bazzica spesso nella zona, talmente spesso che comincia ad insospettire l’ingegner Pacciarini, che decide di annotarsi la targa.

La Peugeot che transitava spesso in via Tibullo

Le ricerche giungono ad un punto morto. I ranghi più alti del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza tremano al pensiero del fallimento e della reazione del Regime. Serve un colpevole, qualcuno che possa per lo meno risultare credibile all’interno di una narrazione probatoria. Il brigadiere Giampaoli si ricorda di quella Peugeot giallo verdognola, di cui pochi giorni prima verificò la proprietà attraverso la targa comunicatagli dal Pacciarini. L’automobile appartiene a tale Gino Girolimoni un mediatore infortunistico di 38 anni. Celibe, descritto come libertino e col gravissimo fardello di essere di padre ignoto. Inoltre è stato visto tentare l’adescamento ai danni della piccola Olga, la domestica dei Pacciarini. Il primo maggio 1927 Girolimoni si ferma nuovamente al numero 20 di via Tibullo. Olga è alla finestra e il Girolimoni le fa cenno di scendere.

Una volta in strada i poliziotti in borghese appostati notano che dopo alcuni istanti la ragazza si dirige a passo spedito verso casa, forse spaventata. Gli agenti in borghese intervengono e Girolimoni viene arrestato. Nonostante si proclami innocente, la perquisizione presso la sua abitazione risulta proficua per gli inquirenti. Girolimoni è un fotografo amatoriale, nella sua abitazione vengono rinvenute foto di nudo, di alcuni scorci di Roma tra i quali quello della scena del crimine Berni e foto di bambine. Ci sono degli abiti all’interno di una vecchia valigia e sono macchiati di rosso, altri abiti dentro l’armadio, tanti abiti, forse troppi. Gli inquirenti si fanno forza anche con testimonianze dei vicini che lo vedono scherzare con alcune bambine di tanto in tanto, inoltre, approfondendo il passato del Girolimoni, riaffiorano dei fascicoli alcuni crimini di guerra commessi da quest’ultimo ai danni di minori mentre prestava servizio sul Carso durante la Grande guerra. Anche il fatto che gli omicidi siano compiuti di sabato, giorno in cui il sospettato non lavora, aggravano il quadro probatorio nei confronti del Girolimoni.

Il Brigadiere Giampaoli

I giornali banchettano voracemente sul “colpevole” ancora fresco di arresto; viene sbattuto sulle prime pagine e vituperato, forse anche col fine di una catarsi collettiva, un’esorcizzazione dal demone dalla quale la città eterna sembra essersi liberata. Caso chiuso, il mostro è preso. Allora quei baffi biondi, a spazzola, che secondo i testimoni appartengono a quel paíno alto e snello? Il Girolimoni non ha mai portato baffi, non è né così alto né così snello, ma soprattutto ha un forte accento romanesco. Mostro preso quindi? Forse no.

FINE SECONDA PARTE

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