Nell’era dei social e dell’isolamento il confronto pubblico non virtuale dopo la casa e il lavoro diventa una ricerca quasi impossibile.
Roma – Alla ricerca del senso di comunità perduto! Molti decenni fa. Prima della rivoluzione tecnologica che, come un tornado, ha sconvolto la nostra vita e i rapporti sociali, era consuetudine per le persone incontrarsi al bar o al pub. Non si aveva l’abitudine ad avere lo sguardo fisso sui cellulari (non c’erano!), ma si socializzava parlando con gli altri avventori. Si discuteva di tutto e di più. Sulle notizie più recenti nazionali e internazionali. Su quelle locali, sullo sport, sull’ultimo film di successo e, a volte, anche di problemi personali e familiari. Questo spazio sociale, separato dall’abitazione (primo posto) e dal luogo di lavoro (secondo posto) è un ambiente altro, il cosiddetto “terzo posto”. Questo luogo di socialità non si sa più cosa sia. Le persone sono alla continua ricerca di esso, ma non lo trovano.
La definizione di “terzo posto” è il frutto della fervida immaginazione della sociologia, che come disciplina sociale, ha sempre utilizzato termini molto esplicativi e seducenti per descrivere le dinamiche della società. Il “terzo posto” è uno spazio pubblico di riferimento, dove il gruppo si incontra, discute e si confronta. In questo modo, quasi inavvertitamente, la comunità si consolida, si confronta, rafforzandone la coesione sociale. Andando indietro nella storia, basta ricordare che nelle taverne della Parigi settecentesca si svilupparono le prime idee rivoluzionarie, per comprendere alla perfezione come possono essere luoghi di fermenti culturali e sociali.
Ed è molto probabile che questi luoghi siano stati molto importanti nel quotidiano di molte persone, soprattutto di quelle che hanno superato gli “anta” da un po’. Oggi, si è persa questa peculiarità, perché si interagisce in un altro modo. Non ci si incrocia più in quel posto, a parlare, a discutere perché lo stile di vita è cambiato. Il “terzo posto” rappresenta una sorta di àncora di salvezza, una terra imparziale dove chi si incontra è lì per scelta e non per obbligo e, quindi, più propenso ad essere rilassato.
Inoltre, è un luogo molto democratico perché lo status sociale non ha nessuna importanza ed è aperto e facilmente accessibile a tutti. Per le generazioni di oggi, il “terzo posto” è stato sostituito da uno “virtuale”, dominato dalla tecnologia. Ci si incontra, infatti, attraverso i social media, le chat online, le app e tutto l’armamentario che la tecnologia offre. Questo è l’unico modo in cui si realizza il “senso di comunità”, che produce, però, una sorta di isolamento sociale. L’alternativa, secondo le scienze sociali, è allontanarsi dal cellulare e guardarsi incontro. Iniziare a parlare con chi ci sta accanto, a guardarsi negli occhi e non tramite un video. Il “terzo posto”, senza esagerazioni, è un luogo di spazi condivisi i cui si applica la tolleranza e dove si rispettano regole non scritte.
Perché far parte di una comunità, integrarsi e ricoprire un ruolo fa bene alla salute fisica e psicologica. Internet sta minacciando questa vita comunitaria, perché il suo paradosso è che pur mettendoci in contatto col mondo intero, si rischia di restare isolati, impoverendo il nostro ambiente sociale ed emotivo. Si è sempre meno presenti e connessi spiritualmente con chi ci circonda. Il recupero della “vita comunitaria” è la “conditio sine qua non” per coltivare questi spazi pubblici condivisi e una forma di cura di sé. Nello sport il terzo posto è un buon risultato, ma non eccellente, perché si punta al primo, massimo al secondo. Nella vita sociale, invece, il suo valore è inestimabile, in quanto aiuta a far funzionare meglio il secondo (lavoro) e il primo (casa)!