Il lavoro a distanza non va bene a tutti

Quasi il 60% delle aziende ritiene che lo smart working rende complicato mantenere un buon livello di passione per il lavoro. Cosi facendo risulta più complessa la seduzione dell’azienda e trattenere i talenti e ci sarebbero maggiori difficoltà nella trasmissione della cultura aziendale con l’aumento della distanza.

Roma – Come sta cambiando l’organizzazione aziendale. La pandemia, per motivi di salute pubblica, ha visto trionfare il lockdown per evitare contatti ed il propagarsi del malefico virus. Si sono sviluppate, così, modalità di lavoro che prima erano sotterranee. Da allora il lavoro agile, a distanza, si sta consolidando come fenomeno flessibile e, ormai, ben accetto un po’ da tutti. Tant’è che il 25% delle aziende lascia ai propri dipendenti la libertà di decidere i giorni per praticare lo smart working e quasi un terzo ha aumentato a due il numero dei giorni concessi. In calo le aziende che pongono un rifiuto allo smart working.

Queste considerazioni sono scaturite dalla ricerca “Smart working in Italia scenari presenti e futuri” presentata nel mese scorso a cura di PHIYD, la Digital Venture di The Adecco Group, la più importante agenzia di consulenza per il mondo del lavoro e da Radical HR (Human Resources), compagnia italiana specializzata nell’educazione tecnologica continua. Le imprese stanno seguendo questo trend positivo per attuare politiche aziendali orientate allo smart working. Quasi 2/3 di esse sono più che avviate per raggiungere il traguardo.

Le differenze, tuttavia, emergono se si guarda alla dimensione e alla territorialità geografica delle aziende. Il 68% delle imprese di grandi dimensioni, ad esempio, con oltre 10mila dipendenti, ha già implementato una politica aziendale sul tema. Invece le aziende di piccole dimensioni, il 25%. Inoltre, anche la provenienza geografica gioca un suo ruolo. Nel meridione d’Italia, le aziende orientate ad un’organizzazione del lavoro con lo smart working sono in numero inferiore rispetto a quelle del Nord.

E’ difficile sbagliare quando si tratta della dualità Nord/Sud del Paese: emerge in qualsiasi analisi socio-economica, ma è evidente anche a chi ha occhi per vedere! Ma “non è tutto oro ciò che luccica”. Nel senso che non tutto quello che appare ad una prima analisi, poi corrisponde alla realtà. Sono emerse, infatti, anche delle criticità: quasi il 60% dichiara che lo smart working rende complicato mantenere un buon livello di passione per il lavoro; risulta più complessa la seduzione dell’azienda e trattenere i talenti; maggiore difficoltà nella trasmissione della cultura aziendale con l’aumento della distanza.

Stranamente per quanto sia stato acquisito il concetto della flessibilità, sempre più richiesta dai lavoratori, sono le figure senior a manifestare più efficacia, con aumento della produttività. Mentre potrebbe essere più spinosa la situazione per le figure junior, in quanto è più difficoltoso trasmettere non solo la cultura dell’azienda, ma anche le abilità e competenze utili allo svolgimento del proprio lavoro. Per evitare queste discordanze, si sta pensando a soluzioni ibride. Ovvero alternanza tra smart working e lavoro in ufficio in base alla situazione del momento.

La crescita dei costi energetici ha cambiato l’ordine delle priorità ed in alcuni ambienti si stanno sviluppando forme che avranno un peso nel cambiamento del mercato del lavoro. Ad esempio il Comune di Milano, per risparmiare sul riscaldamento ha proposto il lavoro a distanza due giorni alla settimana e il resto in presenza. Inoltre si sta iniziando a parlare di settimana lavorativa breve. A dimostrazione che l’avvento delle tecnologie digitale e congiunture economiche particolari sortiscono senz’altro degli effetti. Sta ai decisori politici saper gestire la complessità. Campa cavallo!

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