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Il grande “business della vecchiaia”, dalle imprese funerarie alle cremazioni

Vola la succursale italiana di Funecap, la cui mission è costruire e gestire forni crematori: ha un fatturato da 60 milioni.

Roma – Il grande “business” della vecchiaia. La popolazione europea sta invecchiando in maniera implacabile, mentre le nascite e i giovani diminuiscono. Poiché, sin dagli albori della civiltà (!) umana, è il “denaro che fa girare il mondo”, i rapaci dell’affare a tutti i costi ne hanno fiutato l’affare. Quando sentono l’“odore dei soldi” sfoderano i loro artigli acuminati. E la vecchiaia, con la morte ad essa correlata è un grande “business”. Con tutti ‘sti vecchi, che prima o poi dovranno tirare le cuoia, sai che tintinnio di soldi! D’altronde la morte è l’unico fatto certo della vita. L’affare sta intrigando, finanche, i fondi di “private equity”, che stanno investendo in imprese funerarie. Si tratta di investimenti nel capitale di rischio di imprese non quotate, con l’obiettivo di trarre un profitto derivante dalla quotazione in borsa dell’azienda stessa o dalla vendita della partecipazione acquisita.

Ad esempio, una società francese di questo tipo, Funecap Idf Sas è diventata leader di servizi per la preparazione dei defunti, funerali e cremazioni. Inoltre, costruisce, acquisisce e opera nella manutenzione dei forni crematori. Secondo Bloomberg -multinazionale attiva nei mass media e nei mercati finanziari- l’azienda francese ha investito oltre un miliardo di dollari nel settore. Questo è stato possibile dai costi eccessivi delle sepolture e dalla carenza di terreno adatto per le nuove, problema che si sta rivelando sempre più urgente. Difatti, l’invecchiamento della popolazione continentale è un fenomeno che riguarda tutta l’Europa e si avverte la necessita di cercare soluzioni innovative. Per questi motivi, il mercato delle cremazioni aumenta, in media, del 5-7% all’anno.

Anche il nostro Paese, seguendo il nuovo corso e fiutando l’affare, ha fatto sentire la sua voce. E’ stata infatti costituita una succursale italiana di Funecap, con la partecipazione anche di aziende nazionali. La mission aziendale è la progettazione, costruzione e gestione di forni crematori. Ma non si è fermata qui, entrando anche nel business delle pompe funebri. Quest’ultimo, come la cronaca, purtroppo, ha rilevato, nel nostro Paese, è un settore in cui si sono manifestati casi di collusione con organizzazioni camorristiche, di corruzione di funzionari pubblici e di malaffare in generale. Si tratta di un mercato drogato dall’illegalità in cui l’esperienza ci suggerisce che per entrarci bisogna stabilire rapporti borderline, altrimenti si viene espulsi.

Comunque, l’azienda italiana sta andando a gonfie vele. L’anno scorso ha fatturato circa 60 milioni di euro, mentre il gruppo italo-francese nella sua interezza è arrivato alla rilevante cifra di 700 milioni e sta allargando il suo raggio d’azione in Belgio, Olanda, Inghilterra. L’azienda, con abili campagne di marketing e comunicazione, dichiara di offrire personale esperto per assistere le famiglie prima, durante e dopo i funerali, dando indicazioni sulle procedure post-morte e nell’organizzazione dell’ultimo viaggio del defunto. In Italia ci sono pochi forni crematori perché -secondo gli esperti del settore- il servizio è vincolato al cimitero.

La percentuale di impianti nel nostro Paese è in media del 35%, con punte dell’80% al nord, mentre al sud a malapena si arriva al 10%. Una questione meridionale della cremazione? Chissà! La scelta della cremazione, appare, tuttavia, irreversibile, perché in molte zone del Paese non c’è più spazio per seppellire i defunti e i costi per un loculo sono esorbitanti, mentre quello medio per la cremazione si aggira sui 600 euro. Se si va in questa direzione, non si può che accettare il nuovo corso, anche se va a toccare aspetti delicati che riguardano la religione cattolica. L’importante è che ci siano controlli su questo mercato e, soprattutto che ci lascino morire in pace!

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