La detenzione dei richiedenti asilo è stata privatizzata. Quel che conta è solo il profitto, con buona pace dei diritti delle persone e dei rischi sociali.
Roma – Si fa un gran parlare di accoglienza per i migranti e dei diritti internazionali sanciti dall’ONU. Parole al vento, se si pensa che i “centri migranti” costituiscono un vero e proprio business per alcune multinazionali. Le cifre sono da capogiro. Si parla di un giro d’affari tra il 2018 e il 2021 di 53 milioni di euro. In pratica la detenzione dei richiedenti asilo è stata privatizzata. E’ quanto risulta dal report “Trattenuti”, a cura dell’Organizzazione Non Governativa (ONG) “ActionAid” impegnata nella lotta alle cause della povertà e del dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Bari. In Italia 6 su 10 Cpr (Centri di permanenza per i rimpatri) sono gestiti da multinazionali.
Come ha dichiarato Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni di ActionAid:
“Appare evidente che l’affidamento a privati della gestione di centri di detenzione sia concretamente rischioso perché si antepone il profitto al rispetto dei diritti: per loro stessa natura le aziende devono generare utili, e non possono che farlo a detrimento del rispetto della dignità delle persone recluse. E anche quando a gestire il Cpr è un’impresa sociale questo ha un effetto “normalizzante” che rende accettabili agli occhi dell’opinione pubblica dei non-luoghi difficilmente compatibili con il nostro ordinamento democratico e che coincide con una sempre maggiore deresponsabilizzazione della pubblica amministrazione”.
Negli ultimi tempi si è assistito ad una sorta di ibridazione del sistema di accoglienza e di detenzione. I due aspetti si sono, progressivamente, assemblati tanto da diventare uno solo. Col cosiddetto “decreto Cutro”, approvato dall’attuale governo è stata eliminata la possibilità di richiedere la conversione del permesso di soggiorno per protezione speciale, cure mediche e calamità, in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Inoltre, sono stati tagliati i servizi per l’accoglienza e tutti i richiedenti asilo provenienti da paesi cosiddetti sicuri, sono detenuti direttamente all’arrivo. Come al solito, si è creato un grande caos amministrativo. Infatti, all’interno dei centri di prima accoglienza sono stati istituiti locali di detenzione, tanto che le due funzioni, spesso, si confondono. Inoltre ci sono difficoltà nella ripartizione delle spese di accoglienza e di detenzione da parte del Ministero dell’Interno, in quanto il gestore dei due centri è unico. Il taglio ai servizi e ai fondi per l’accoglienza ha provocato che gli appalti vengono aggiudicati al prezzo più basso.
A risultare vincitrici sono le grandi multinazionali con gravi rischi di violazione dei diritti internazionali dei trattenuti. Ad esempio, sempre secondo ActionAid, nei Cpr ogni persona che vi soggiorna ha diritto a 9 minuti a settimana di informativa legale, 9 di supporto psicologico, 9 di assistenza sociale e 28 di mediazione culturale. Ma nei fatti succede che se qualcuno viene privato della libertà per una semplice violazione amministrativa, non gode più del diritto di difesa. Inoltre, poiché le gare di appalto sono quasi del tutto deserte, a vincerle, sono sempre le solite multinazionali. Secondo un’inchiesta di IRPI (Investigative Reporting Project Italy), un’associazione che sviluppa e promuove le più varie forme di giornalismo d’inchiesta, molti centri gestiti da multinazionali sono state oggetto di inchieste di mala gestione.
I Cpr sono luoghi chiusi dove è difficile avere accesso per giornalisti e associazioni che si occupano di diritti umani. Quello che si sa è che i casi di suicidio, autolesionismo, abuso di psicofarmaci, droghe e sommosse sono in aumento. Senza dubbio non è questa la soluzione di un fenomeno epocale. Non si può considerare all’infinito i migranti come pacchi postali, simili a vite di scarto, minacce per l’ordine pubblico e la sicurezza. O vanno accolti secondo i criteri di una società civile, oppure si rischia un potenziale e duro scontro sociale!