Il collezionista d’ossa della Magliana: un horror hollywoodiano in Roma Capitale

In un caldo pomeriggio di Luglio del 2007 veniva rinvenuto uno scheletro tra i prati della Magliana. Le ossa appartengono a diverse persone, 3 donne e 2 uomini, un vero e proprio puzzle per gli inquirenti. A distanza di anni una ricostruzione in 3D ravviva l’attenzione sul caso.

ROMA – Ci sono luoghi criminali che sono scolpiti nell’immaginario collettivo, luoghi che risuonano nelle eco di pagine e pagine di cronaca nera, luoghi prescelti come irrisi da un infausto destino. Uno di questi è sicuramente il quartiere della Magliana, 11 chilometri quadrati che hanno squarciato orizzontalmente la storia di Roma per decenni. La malavita in pantazampa degli anni ’70 che s’intreccia col caso Gregori-Orlandi, il truce stillicidio da giustiziere di Pietro De Negri (er Canaro) ai danni di Giancarlo Ricci nell’88, fino a giungere al 2007 quando l’inchiostro de “Il collezionista d’ossa” di Deaver prende vita e si materializza davanti ad alcuni vigili del fuoco giunti per domare un incendio in via Pescaglia. Sono le 15.30 del 26 luglio.

L’incendio di via Pescaglia

Il caso

Il vapore generato dall’acqua che combatte quell’incendio estivo rende l’aria fosca e densa. Una scatola cranica viene colpita dal getto di un idrante e giunge rotolando dritta tra gli scarponi di un pompiere. Il fumo si dirada lentamente rivelando poco distante uno scheletro umano adagiato sul prato annerito. Le ossa che lo costituiscono giacciono composte con ineccepibile dovizia anatomica, poco distante alcuni indumenti logori ed un consunto marsupio zuppo d’acqua. All’interno di quest’ultimo vengono rinvenuti alcuni oggetti personali tra cui i documenti d’identità e le chiavi di casa di tale Libero Ricci, classe 1926, pensionato della zona e scomparso il 31 ottobre 2003. A questo punto serve fare un passo indietro.

Libero Ricci è un artigiano in pensione di 77 anni. Ogni tanto esercita ancora la professione per arrotondare e, avendo lavorato per decenni con appalti in Vaticano, non lamenta mancanza di clienti. Quella mattina il sole non è ancora sorto del tutto quando l’uomo si allontana dal suo appartamento di via Luigi Rava 7 con le canne da pesca sulle spalle. Ricci non farà mai più ritorno a casa e il suo caso si perderà tra le tonnellate di faldoni riguardanti persone scomparse. È dunque il 26 Luglio 2007, l’anziano artigiano è stato ritrovato dopo 4 anni e i suoi resti riposano adagiati su quel prato fumante e bruciacchiato. I figli riconoscono il borsello e le chiavi, inoltre affermano che già nel 2000 il padre tentò di allontanarsi a causa della demenza senile di cui soffriva.

I poveri resti rinvenuti

Le indagini

Le ossa vengono spedite in laboratorio per le analisi genetiche, gli inquirenti sono sicuri di trovare un riscontro tra il DNA di Ricci e quello contenuto nelle ossa, ma i risultati raccontano una versione impossibile. Le ossa appartengono a 2 uomini e 3 donne e neanche uno dei suddetti appartiene a Libero Ricci. Quelle ossa sono state conservate e posate su quel fazzoletto d’erba con precisione chirurgica fino a formare uno scheletro umano. Anche l’elevato stato di bruciatura dello scheletro conferma che durante l’incendio i resti si trovavano già in quello stato di decomposizione. Ma di chi sono le spoglie? È priorità, naturalmente, dare un volto a quei poveri resti anneriti. I genetisti Carla vecchiotti e Luigi Cipolloni, del laboratorio genetico forense della Sapienza, fecero i primi test sui resti rinvenuti su quel prato della Magliana e con l’ausilio di “Circe“, struttura all’avanguardia di genetica forense, riuscirono a dettagliare maggiormente quell’anonima ossatura. Breve legenda: F per il sesso femminile, M per il maschile.

F1 a cui appartengono teschio vertebre ed emicostato destro è deceduta tra il 2002 il 2006 ed aveva tra i 45 e i 55 anni. F2 a cui appartiene la tibia destra è deceduta tra il 1992 e il 1998 ed aveva tra i 20 e i 35 anni. F3 a cui appartiene il perone destro è deceduta tra il 1995 e il 2000 ed aveva tra i 35 e i 45 anni.

M1 a cui appartengono la scapola destra e l’omero destro è deceduta tra il 2002 e il 2006 ed aveva tra i 40 e i 50 anni. M2 a cui appartiene il femore destro è deceduto tra il 1986 e il 1989 ed aveva tra i 24 e i 45 anni.

Ora si conoscono i dettagli di genere, la forbice di età anagrafica e anno di morte delle vittime, ma la priorità per gli inquirenti rimane sempre la stessa: a chi appartengono quelle ossa?

Libero Ricci

Le piste

La fibrillazione, quando si finisce per collegare il caso di Libero Ricci, artigiano al soldo del Vaticano per decenni, con le ossa femminili rinvenute (Gregori-Orlandi?) è tangibile tra gli investigatori ma niente da fare. Si scartano piste quali la possibile implicazione della malavita, che avrebbe potuto utilizzare la zona come “deposito” per rivali scomodi, oppure l’ingerenza di animali selvatici. Troppo ordine, troppa precisione in quelle spoglie scheletriche. Su quei resti non vi è traccia né di legno né di zinco, non sono mai state all’interno di una bara e il protagonista di quello che è diventato un thriller non è neppure un profanatore di tombe. Gli anni passano e il caso sembra tornare a perdersi tra i fascicoli polverosi dell’archivio, fino a quando nel 2012 ulteriori approfondimenti su alcuni frammenti del cranio di F1 portano ad una realtà che cambia tutte le carte in tavola. In quel profilo è presente un marker genetico raro appartenente ad un ceppo giudaico-caucasoide, un marker appartenente senza ombra di dubbio ad un parente del Ricci. L’albero genealogico dell’uomo viene indagato nel profondo, scandagliato nei minimi dettagli, ma nulla. Di nuovo nulla di fatto.

Gli oggetti contenuti nel marsupio

La potenziale svolta

Recentemente l’antropologa e odontologa forense Chantal Milani, esperta di ricostruzione facciale, si è cimentata in un’accurata quanto verosimile ricostruzione tridimensionale del cranio di quella sconosciuta, lo stesso cranio imbrunito che rotolò tra i piedi di quel vigile del fuoco il 26 luglio del 2007. Partendo dalla Tac messale a disposizione dagli inquirenti l’esperta ha, tramite un software, ricostruito prima la muscolatura facciale della vittima per poi modellare il resto dei tessuti su di essa. L’ultima flebile speranza appartiene al volto di quella donna, a qualcuno che la riconosca, prima che il tutto venga seppellito di nuovo sotto una tonnellata di faldoni.

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