A dodici anni dal naufragio della Costa Concordia l’ex capitano sconta la condanna a 16 anni nel carcere di Rebibbia. Ma restano molti interrogativi e le riflessioni sul processo mediatico. Il libro di Maurizio Catino parla di capro espiatorio organizzativo che – dice – non è uno che non c’entra con l’evento. C’entra eccome ma su di lui per convenienza ricadono colpe anche di altri.
Grosseto – Dodici anni da quel 13 gennaio 2012 quando la Costa Concordia, imbarcazione da crociera che trasportava oltre 4mila persone tra passeggeri, membri dello staff ed equipaggio, naufragò causando la morte di 32 persone. Ma che fine ha fatto Francesco Schettino, l’ex comandante giudicato il principale responsabile del tragico naufragio? Nel 2015 è stato condannato a sedici anni di carcere per il suo ruolo nell’incidente. Ha iniziato a scontare la pena nel 2017 dopo aver esaurito i suoi ricorsi. È nel carcere romano di Rebibbia dove trascorre il suo tempo frequentando corsi universitari. Potrebbe presto uscire dal carcere e “dare il proprio contributo alle istituzioni”: digitalizzare alcuni dei grandi processi che attraversano la storia del Paese e salvarli dall’incuria del tempo.
La nuova richiesta per Schettino, che da anni è impegnato in lavori socialmente utili all’interno della casa circondariale romana, è stata avanzata dalla direzione del carcere. La disposizione è quella di digitalizzare gli atti dei processi di Ustica, seduto dietro una scrivania della Discoteca di Stato. Schettino ha infatti maturato il termine che gli consente di accedere a misure alternative: arrivato quasi a metà della pena potrebbe quindi accedere ai benefici previsti dalla sua attuale situazione detentiva.
Questo tipo di attività, assegnata a detenuti meritevoli e capaci, per rendere immateriali testimonianze e atti giudiziari fondamentali risalenti a diversi decenni fa, è già praticata da tempo in altre situazioni dalle persone ristrette, che operano in un ambiente videosorvegliato nella casa circondariale e scansionano le carte che compongono i fascicoli nell’ordine preciso in cui le trovano, sotto la costante supervisione di archivisti-formatori.
Ma di cosa era accusato Schettino? Le operazioni di salvataggio dei passeggeri della Costa Concordia iniziarono in ritardo perché per un’ora dalla plancia di comando, incalzati dagli uomini della Capitaneria di porto, il comandante e i suoi ufficiali negarono la gravità dell’incidente, non lanciarono la richiesta di soccorso e minimizzarono parlando di un semplice guasto tecnico, un blackout elettrico. Ma la Concordia era già inclinata su un fianco, con uno squarcio di 70 metri alla carena. Oggi Schettino giura di non aver dimenticato le 32 vittime del naufragio.
Per questa ragione l’ex comandante venne arrestato subito e poi scarcerato. L’inchiesta della procura di Grosseto puntò ad accertare fatti, responsabilità, negligenze e omissioni. La versione fornita non convinse i magistrati e venne smentita dalla scatola nera e dalle registrazioni delle conversazioni in plancia di comando. Anche i testimoni raccontarono un’altra versione. Per Schettino l’accusa più infamante fu quella di aver abbandonato la nave, quella fuga sullo scoglio per mettersi in salvo con a bordo ancora tante, troppe vite da salvare.
Il suo è stato senza dubbio un processo mediatico, quasi un processo di Stato. Sul linciaggio dei media nei confronti del Capitano ‘codardo’ ha scritto di recente un libro Maurizio Catino. Il titolo è emblematico, “Trovare il colpevole. La costruzione del capro espiatorio nelle organizzazioni”, uscito nel 2022.
Secondo il docente di Sociologia dell’Organizzazione presso l’Università di Milano-Bicocca, gli incidenti complessi come quello della Costa Concordia non possono essere ricondotti esclusivamente a un errore umano: “Anche se è presente, l’errore dell’uomo non è ciò che spiega ma è ciò che deve essere spiegato”, fa notare Catino. “In altre parole occorre fare analisi più complesse che mettano in luce le criticità strutturali del sistema. L’incidente e la gestione dell’emergenza hanno aperto uno squarcio su una serie di criticità e hanno determinato come conseguenza quella di spostare l’attenzione persecutoria verso il comandante della nave”.
Sulla vicenda Concordia il capro espiatorio designato è stato senza dubbio Francesco Schettino. Le responsabilità del comandante ci sono, sia chiaro, ma Schettino avrebbe pagato responsabilità anche in capo ad altri, afferma Catino: “Il capro espiatorio organizzativo non è uno che non c’entra con l’evento: c’entra eccome ma su di lui per convenienza ricadono colpe anche di altri. Ciò che sostengo è che nel caso del naufragio della Costa Concordia ci sia stata una convergenza di interessi, seppur non intenzionale. Non è stata pianificata ma ognuno portando avanti i propri interessi individuali ha contribuito alla costruzione del capro espiatorio”.
Inoltre nel libro il docente spiega che il naufragio è stato considerato “come un incidente isolato e non come l’esito inatteso ma prevedibile di una pratica rischiosa come quella dell’inchino. Come se l’evento fosse stato un fulmine a ciel sereno, causato dall’impazzimento improvviso di un comandante con un’eccellente biografia professionale, tanto da figurare in un post di encomio sul sito della compagnia proprio il giorno dell’incidente. Invece, è stata una ‘sorpresa prevedibile’, un disastro annunciato che ha avuto un lungo periodo di incubazione. Non si è trattato soltanto di errori e fallimenti a livello individuale. Tali eventi furono favoriti al contempo da criticità organizzative e dalla sottovalutazione dei rischi da parte dei controllori e dei regolatori”.
Del resto la ricerca di un colpevole da dare in pasto all’opinione pubblica, da Dreyfus in poi, ha accompagnato l’intera storia umana ed è sintomo di un bisogno quasi atavico dell’uomo di cercare di trovare risposte immediate a problemi complessi e, più nello specifico, di giustificare ciò che rappresenta il male scaricando le responsabilità sui gesti sconsiderati di un individuo o un gruppo di persone, il più delle volte dipinte come distanti dal corretto modello di comportamento accettato dalla società. La vicenda del comandante Schettino ripercorre quella tendenza tipicamente italiana di “sbattere il mostro in prima pagina” ancora prima che vengano emesse prove di colpevolezza, con il solo scopo di spettacolarizzare la notizia, arricchendola di dettagli molto spesso inutili ai fini delle indagini ma decisivi nell’indirizzare l’opinione pubblica.