IA, cambia l’orchestra ma la musica è la stessa: lavoratori sempre più schiavi

L’avvento dell’Intelligenza artificiale non solo sostituisce il lavoro umano ma può renderlo invisibile anche dal punto di vista sindacale.

Roma – Oggi, grazie all’avvento di Sua Eccellenza Madame Technologie, sembra che ogni soluzione sia a portata di mano. Tuttavia, se ci domandiamo, ad esempio, come funzioni un sito di commercio online o come agisca un software che simula ed elabora le conversazioni umane, scritte e parlate, permettendo agli utenti di interagire con i dispositivi digitali come se stessero comunicando con una persona reale, la risposta è sempre la stessa: grazie al lavoro di un essere umano.

Chi è investito di questo compito lavora per l’Intelligenza Artificiale (IA), l’Imperatrice Assoluta del Cyberspace, che per essere efficace ha bisogno dei nuovi servi della gleba. Questi si trovano alla base della piramide e fanno il cosiddetto “lavoro sporco“, cioè l’insieme di quelle operazioni di bassa manovalanza. Ai vertici della piramide siedono invece informatici specializzati, analisti dei dati e ingegneri. Tuttavia, per far andare avanti il processo sono necessarie le cosiddette “etichettature di dati“. Questo significa identificare dati non elaborati, come immagini, video, e file di testo, aggiungendo una o più etichette per consentire al software di fare previsioni accurate. Si tratta di un lavoro noioso, ripetitivo e, alla lunga, alienante. Inoltre, non è gratificante, poiché poco riconosciuto, anche se è utilissimo. Tuttavia, lo storytelling dominante tende a evidenziare che l’IA ha bisogno di poco lavoro, mentre, come abbiamo visto, ne richiede tantissimo.

Gli etichettatori agiscono come istruttori, ma vengono pagati alla stessa stregua del personale delle pulizie. Le grandi aziende del settore, come Google, OpenAI e Meta, stanno subappaltando il lavoro ad altre aziende, spesso situate all’estero, in Asia, Africa o Sudamerica. In questi Paesi esistono piccole imprese informali, spesso in nero o a conduzione familiare, che rendono complicato un lavoro di monitoraggio. I lavoratori vengono reclutati online con annunci accattivanti che esaltano la possibilità di lavorare per l’IA, pur in assenza di esperienza, ma con la determinazione di apprendere. In Venezuela, addirittura, sono state adattate delle piccole fabbriche in casa che lavorano h24: la mattina è il turno del padre, il pomeriggio della figlia al ritorno dalla scuola, la sera della mamma o della nonna. Questo è stato facilitato dal basso costo dell’elettricità, in vigore da quando l’ex presidente Chavez aveva proposto un programma per la distribuzione dei computer in tutte le famiglie. Oggi, tutti possono lavorare da casa.

I salari risibili, soprattutto se confrontati con i miliardi che circolano nelle grandi aziende tecnologiche, sono solo uno dei problemi. Un altro è rappresentato dagli effetti psicologici subiti da chi ha a che fare con i social network, dove c’è di tutto e di più. Inoltre, la precarietà, evidente anche nei Paesi sviluppati, scatena un’ansia quotidiana per la mancanza di un lavoro fisso. Si tratta di un vero sottobosco di cui si conosce ancora poco e dove i lavoratori firmano contratti di riservatezza così limitativi che temono di chiedere supporto legale e psicologico.

Secondo gli esperti, il problema non è che l’ IA possa sostituire il lavoro umano, ma che quest’ultimo possa diventare indistinguibile, con ulteriori possibilità di vessazioni. Si tratta di lavoratori invisibili, pagati poco e che, spesso, lavorano in subappalti di subappalti, senza potere e con enormi difficoltà a organizzarsi dal punto di vista sindacale. La nota dolente è che si tratta di lavoratori molto variegati, complessi, e estesi, e spesso non si fa in tempo a conoscere le figure esistenti che ne nascono e crescono di nuove, rendendo difficile inquadrarli e organizzarli. È chiaro che sarebbero necessari interventi legislativi, ma il primo ostacolo è rappresentato dalla valutazione del compenso e poi quali organi sarebbero deputati ai controlli di legge.

L’Unione Europea ha approvato la scorsa primavera la direttiva sul lavoro mediante piattaforme digitali. Si mira a migliorare le condizioni di lavoro e a disciplinare l’uso degli algoritmi da parte delle piattaforme di lavoro digitali. Il percorso da seguire è far emergere questi lavoratori dall’invisibilità che porta all’inesistenza sociale e che possano affrancarsi dalle condizioni di sfruttamento.

Comunque, è cambiata l’orchestra, ma la musica che si suona è sempre la stessa: sono sempre i poveri cristi ad essere sfruttati!

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa