I PROBLEMI DI MEDICINA: NUMERO CHIUSO, TEST D’ACCESSO E SELEZIONI

La situazione dei futuri camici bianchi e degli specializzandi rimane precaria. Manca l’orientamento professionale negli ultimi due anni delle superiori. Sarebbe utile?

Lo scorso novembre si è iniziato a parlare di un disegno di legge che intenderebbe abolire il test per la facoltà di Medicina e chirurgia. Per molti rappresenterebbe un’opportunità, per altri una fucina di nuovi problemi. La proposta viene dal portavoce alla Commissione cultura della Camera, Manuel Tuzi, M5s, secondo cui il test andrebbe sostituito con un meccanismo “alla francese”: una media da raggiungere ad alcuni esami per superare l’anno di studio. Non tutti sono d’accordo, a partire dal docente di Chimica e propedeutica biochimica dell’Università La Sapienza di Roma, Andrea Bellelli, che riporta il problema alla carenza dei mezzi per studiare: dalle aule, agli studi (e perché no: ai microscopi) per le esercitazioni, così difficili da ricavare soprattutto in un’epoca in cui film come Grey’s Anatomy o E.R. fanno sognare moltissimi studenti.

Per molti la preoccupazione dovrebbe, invece, concentrarsi sull’ingresso nelle scuole di specializzazione più che sul numero programmato. Ma, siamo sicuri che tutti questi docenti o esperti abbiano ragione? Anche 30 anni fa era difficile non solo passare gli esami, ma, prima ancora, trovare un posto a sedere in aula. D’altra parte, sembra d’obbligo ricordare che il diritto all’istruzione è pur sempre uno dei cardini della nostra Costituzione, quindi la vicenda è certamente plurisfaccettata.

Filippo Anelli, presidente FNOMCeO, condivide la necessità di sostituire il test «con un percorso di orientamento a facoltà e professione negli ultimi due anni delle superiori». Per chi ha già affrontato questo percorso c’è però da testimoniare che si è assistito a casi di mancata trasparenza durante la prova di accesso. Sembra quindi che, purtroppo, talvolta, anche nelle Scuole di Specializzazione possa trovare spazio la regola della raccomandazione. Si ascolta, infatti, da più parti la voce (ormai consolidata) secondo cui, sin dalla laurea, diversi professori già stilino un loro “registro di presenze” da sottoporre alle Scuole specialistiche. Non vi sono conferme documentali al riguardo, ma il solo fatto che si prospetti una simile ipotesi spaventa. E se allora, tutto fosse in partenza già delineato e deciso? Chi potrebbe rimediare a tanta scorrettezza?

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