I papà Millennials stanno ridefinendo il ruolo con maggiore coinvolgimento nell’accudimento dei figli e nuove richieste di congedo parentale. I dati e le sfide in Italia.
Nella nostra struttura sociale, fino a qualche decennio fa, nella famiglia l’accudimento e la gestione dei figli erano destinati alle madri, con i padri assenti. Si è andati così per anni, fino a quando non sono apparsi sulla scena i padri “Millennials”, i nati tra l’inizio degli anni ‘80 e la seconda metà degli anni ’90, che si stanno dimostrando molto più accorti dei propri genitori nella cura dei figli. Seppure i cambiamenti dei ruoli familiari siano stati lenti, al punto che quasi non ci si è accorti di essi.
Uno dei più recenti studi sul fenomeno è stato condotto dal Pew Research Center, con sede negli USA, un centro studi che fornisce indagini su opinione pubblica, andamenti demografici sugli Stati Uniti ed il mondo in generale. Effettua, inoltre, sondaggi, ricerche demografiche e analisi sui media. Da questo studio è emerso che il 57% dei papà Millennials ha messo in cima alla loro scala di valori la genitorialità, trascorrendo molto più tempo coi figli rispetto ai propri padri. La percentuale è notevole e quasi eguaglia quella delle madri, 58%. Quindi, cresce il numero di padri consapevoli del proprio ruolo e che rifiutano di delegare accudimento ed educazione dei figli solo alle madri.
Entrando nei dettagli, è interessante notare come il 97% dei padri ha ammesso di cambiare i pannolini ai bebè. Una cifra inimmaginabile agli inizi degli anni’80, quando quasi il 50% dei papà dichiarò che non ci aveva mai provato, nemmeno una volta. Mentre l’inversione di tendenza si è verificata tra il 1989 e il 2014. E’ cresciuto del 70% il numero di padri che decidono di prendersi delle ferie per stare insieme ai loro figli e, infatti, dal 2013 al 2022, l’utilizzo del congedo di paternità si è triplicato. Così come si è incrementato il numero dei padri che si dedicano completamente alla casa e alla cura dei bambini. I dati dicono che tra i genitori casalinghi, il 17% sono padri e i 24% di costoro decidono di stare a casa esclusivamente per curare i bambini.
Una volta un padre del genere, veniva etichettato col termine “mammo”. Sarebbe ora di abbandonare l’utilizzo di questa locuzione, in quanto, stando ai dati, sembra fuorviante, perché non sostituiscono la mamma ma sono papà che hanno a cuore la cura dei loro figli. Ora una politica attenta ai mutamenti della società, dovrebbe prenderne atto e agire di conseguenza. Ad esempio nel nostro Paese la legislazione prevede solo 10 giorni di congedo di paternità obbligatori e uno facoltativo, da utilizzare tra i 2 mesi precedenti e i 5 dopo il parto. Questi periodi hanno una copertura del salario del 30%. Il padre che lavora può utilizzare massimo 3 mesi non trasferibili ed altri 3 se la madre rinuncia. Da questa disamina il Belpaese risulta malridotto. Infatti è agli ultimi posti in Europa (è un marchio di…qualità!) per la durata del congedo di paternità obbligatorio pagato al 100%, che è molto inferiore rispetto a Finlandia, Spagna e Portogallo, ad esempio. Non sono rivendicazioni solo delle mamme, che fermo restando lo status quo, avrebbero enormi difficoltà nel gestire vita familiare e lavorativa. Col rischio concreto che a volte molte persone lasciano il lavoro per accudire i figli, impoverendo la propria situazione socio economica presente e futura.
A confermare come la problematica sia molto sentita dai padri, un’indagine del centro studi Tortuga – il primo think-tank in Italia composto da giovani ricercatori e studenti del mondo dell’economia e delle scienze sociali- ha evidenziato che tra 22 aziende che hanno esteso il congedo parentale obbligatorio retribuito al 100% ai propri dipendenti padri, l’approvazione è stata del 71%. L’87% ha sostenuto di voler sostenere la propria compagna nel primo anno di vita del bimbo. Inoltre, l’81% desidera essere coinvolto nella vita dei figli.
Ma la politica latita e pur dotandosi di pazienza si rischia di subire la sorte del motto “Campa cavallo che l’erba cresce”. Nel senso che si può aspettare il tempo che si vuole, tanto ciò che si sta attendendo non accadrà a breve, bisogna quindi pazientare per avere dei risultati, che spesso non si è nemmeno certi di ottenere: che il cavallo diventi pure vecchio dunque, in attesa che l’erba cresca!