I neolaureati ora dicono no a offerte di lavoro da 1.250 euro al mese

Lo dice il Rapporto Almalaurea 2024: le occupazioni più diffuse sono state quelle con rapporto da dipendente e contratti formativi.

Roma – I neolaureati vogliono essere retribuiti in modo equo. Uno degli aspetti critici del mercato del lavoro italiano è rappresentato dal fatto che nemmeno un titolo di studio terziario, come la laurea, garantisce, nell’immediato, un posto di lavoro. Per questi motivi nacque nel 1994 il “Consorzio interuniversitario AlmaLaurea, a cui aderiscono, attualmente, 75 atenei nazionali e il Ministero dell’Istruzione, Università e della Ricerca, con finalità o obiettivi di studi statistici riguardanti il mondo universitario italiano. Ogni anno pubblica un’indagine che monitora l’inserimento lavorativo, nei primi cinque anni dopo la laurea.

L’indagine sulla condizione occupazionale dei laureati è effettuata dopo uno, tre e cinque anni dal conseguimento del titolo di studio ed è una rappresentazione di come ci si inserisce nel mercato del lavoro, delle sue caratteristiche e di come si viene retribuiti. L’ultimo rapporto è stato presentato il 13 giugno scorso all’Università degli Studi di Trieste ed ha coinvolto 660mila laureati dal 2019 al 2023. La maggioranza di essi è riuscita a trovare lavoro, ma è emerso che, rispetto agli anni precedenti, i neolaureati non sono più disposti ad accettare remunerazioni basse e un impiego non confacente ai propri curricula. Dopo cinque anni dalla laurea, la percentuale di coloro che hanno trovato un’occupazione ha superato il 90%.

I lavori più diffusi sono stati quelli con rapporto da dipendente, mentre sono numerosi anche i contratti formativi (tirocinio ed apprendistato). Una percentuale intorno al 10% ha svolto attività da libero professionista. In questa categoria è inclusa pure la quota degli assegnisti di ricerca (contratti attribuiti previa selezione comparativa per svolgere attività di ricerca nell’Università). Inoltre, non potevano mancare coloro con un’occupazione senza contratto regolare: l’1,1% del campione esaminato. La maggioranza dei laureati dopo cinque anni dal conseguimento della laurea continua a lavorare e c’è stata una crescita dei contratti a tempo indeterminato rispetto a quelli precari. Potrebbe sembrare un aspetto positivo, ma come spesso succede in Italia, viene annullato dalle retribuzioni ancora scarse.

Malgrado ci sia stata una lieve crescita, l’inflazione di fatto, l’ha annullata, riducendone il potere d’acquisto. Comunque, le retribuzioni oscillano tra i 1384 e i 1432 euro netti mensili, fino ad arrivare ai 1768 euro dopo cinque anni. Questi numeri confermano un problema più generale per quanto riguarda le retribuzioni. Da un lato i lavoratori hanno più cognizione su quale stipendio si desidera o si crede di meritare, per cui viene rifiutata un’offerta di lavoro ritenuta bassa. Dall’altro lato, l’inflazione ha eroso gli stipendi, per cui è stato più difficile mettere insieme il pranzo con la cena con stipendi ridotti.

Il combinato disposto, tanto per utilizzare una terminologia cara al burocratese, di questi due aspetti, ha reso ancora più cupa la situazione delle retribuzioni italiane, che sono tra le più basse dell’Unione Europea (UE) e tra le poche che negli ultimi decenni sono rimaste bloccate. Questo aspetto è confermato dagli stipendi dei neolaureati emigrati all’estero. Ad un anno dal conseguimento del titolo di studio, lo stipendio medio si aggira sui 2174 euro netti mensili, pari al 56% in più rispetto a coloro che hanno preferito restare sul suolo patrio Dopo cinque il divario è più vistoso: all’estero i laureati percepiscono una retribuzione netta in medi di 2710 euro netti, pari al 58,7% di quelli rimasti in Italia a lavorare. Se all’estero ci sono più possibilità per i laureati ed in Italia si arranca, qualche domanda bisogna porsela. Ma chi dovrebbe sentire, finge di essere sordo!

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