La morte di Alice Scagni lascia sgomenti sia per la violenza perpetrata dal fratello malato sia perché l’omicidio, forse, si poteva prevenire, se solo gli addetti ai lavori si fossero resi disponibili prima della tragedia: “Abbiamo perso due figli…”, dicono i genitori affranti dal dolore.
Genova – Un fratello che uccide la sorella, forse il brutale omicidio si poteva evitare. Ne sono convinti i genitori di Alice Scagni, la mamma di 34 anni uccisa dal fratello Alberto, 41 anni, con 17 coltellate il primo di maggio dell’anno scorso. Nei primi giorni di febbraio la Procura di Genova ha concluso l’inchiesta accusando l’uomo di omicidio premeditato con crudeltà.
Al presunto assassino la Pm Paola Crispo ha contestato anche il porto abusivo di armi riferendosi al coltello lungo 14 centimetri che Alberto Scagni teneva occultato dentro un sacchetto di plastica. Insomma ben conoscendo i problemi da cui era afflitto l’uomo e le forti tensioni fra i congiunti c’era da aspettarsi una tragedia che forse definire annunciata è piuttosto riduttivo:
”Che Alberto ad oggi sia considerato parzialmente incapace di intendere e volere lo dice la legge – evidenziano i genitori della vittima e dell’odierno imputato, Antonella Zarri e Graziano Scagni – non abbiamo avuto nessun tipo di intervento ma totale indifferenza. Noi siamo le parti danneggiate e il nostro legale, l’avvocato Fabio Anselmo, non può chiedere la documentazione. Non possiamo ascoltare tutte le nostre telefonate fatte al 112. Dallo Stato non abbiamo avuto protezione nonostante avessimo chiesto più volte aiuto al numero di soccorso pubblico prima della tragedia…Siamo stati abbandonati. Ho capito che Alberto era diventato pericoloso ma l’operatore del 112 riferiva che quello era un giorno di festa, di andare l’indomani per sporgere denuncia al commissariato. Comunque non ci fermeremo, in fondo abbiamo perso due figli…”.
Alberto Scagni, disoccupato, da tempo aveva grossi problemi psicologici acuiti da alcol e droghe. La mancanza di denaro lo costringeva a chiedere soldi alla famiglia, in particolare alla sorella che lo aveva sempre accontentato. Quando la famiglia tentava di farlo ragionare l’uomo diventava irascibile e più volte aveva minacciato i propri congiunti.
La sera della tragedia erano da poco passate le 21 quando Alice Scagni tornava verso casa dopo aver passeggiato con il suo cane. Da dietro uno scooter sbucava all’improvviso il fratello Alberto che dapprima aggrediva verbalmente la sorella con parolacce e insulti. Subito dopo nelle sue mani spuntava un lungo ed affilato coltello con il quale colpiva Alice alle spalle, per ben 17 volte. Colpi netti e precisi che ferivano a morte la vittima che stramazzava sull’asfalto in un lago di sangue mentre Alberto si dava alla fuga.
Dalla finestra di casa aveva visto la scena raccapricciante il marito terrorizzato della donna, Gianluca Calzona di 36 anni che, preoccupato per l’incolumità del figlioletto di 2 anni, era sceso in strada troppo tardi nel tentativo di soccorrere la moglie. I congiunti della povera Alice e i vicini di casa telefonavano al 118 e alla polizia ma la donna spirava durante il trasporto in ospedale. Alberto, ad un chilometro dalla via Fabrizi, veniva bloccato dagli agenti della Mobile genovese. L’uomo indossava ancora i vestiti sporchi di sangue e teneva in mano l’arma del delitto. Subito dopo ammetteva agli stessi poliziotti le proprie responsabilità con lo sguardo perduto nel vuoto: ”Sono stato io – diceva il fratricida – la mia famiglia non mi dava più soldi, non potevo più vivere in quel modo…”.
I genitori di Alice avevano presentato un esposto in Procura per omissione di atti d’ufficio e morte come conseguenza di altro reato nei confronti della polizia e dei servizi sociali poiché ritenevano, e ritengono, che se si fosse intervenuti in tempo Alice Scagni, ex ballerina di danza classica e campionessa di sci, sarebbe ancora viva:
”Il 19 gennaio 2022 lo specialista diagnostica ad Alberto disturbi psichiatrici – conclude Antonella Zarri – e non è possibile aiutarlo con la sola psicoterapia. Contattavo subito i servizi di igiene mentale ma nel frattempo non veniva attivato alcun protocollo. Mio figlio era stato sottoposto a visita, per la prima volta, dopo settimane quando era peggiorato. Era molto aggressivo, picchiava contro i muri con una mazza e aveva vandalizzato la porta della nonna, sul suo stesso pianerottolo, per ottenere denaro”.
Poi la tragedia. Irreversibile.