Nonostante la condanna definitiva inflitta a padre Graziano, la famiglia non ha accesso al conto corrente: “Cadavere mai ritrovato, il certificato di morte non esiste”.
Arezzo – Sono passati undici anni dalla tragica scomparsa di Guerrina Piscaglia, ma per la burocrazia italiana la donna risulta ancora viva. Il suo corpo non è mai stato ritrovato e senza un certificato di morte ufficiale i familiari non possono ottenere il trasferimento dei risparmi lasciati sul suo conto bancario.
Nonostante la condanna definitiva inflitta a padre Graziano (Gratien Alabi) – 25 anni di carcere per omicidio e occultamento di cadavere – Guerrina resta prigioniera di un limbo anagrafico. L’istituto bancario dove aveva il conto si è attenuto alla normativa vigente, chiedendo ai familiari il certificato di morte che, però, non esiste. La donna è scomparsa dai registri dell’anagrafe nazionale, ma senza un documento formale non è possibile chiudere le questioni patrimoniali.
Per sanare questa anomalia è necessario avviare il lungo iter della “dichiarazione di morte presunta”, un procedimento civile che richiede il passaggio in tribunale. Una scelta complessa che la famiglia Alessandrini – il marito Mirko e il figlio Lorenzo – sta valutando attentamente.
Intanto, ad Arezzo si è conclusa una delle due cause civili intentate dai familiari contro la Chiesa, accusata di responsabilità oggettiva per il delitto commesso da uno dei suoi ministri. I legali Francesca Faggiotto e Nicola Detti hanno chiesto un risarcimento di un milione di euro, invocando la responsabilità dell’istituzione per i crimini commessi da padre Graziano mentre svolgeva il suo incarico pastorale.
La sentenza è attesa entro l’estate. La causa rappresenta un precedente senza eguali nel panorama giuridico internazionale, con il Vaticano e la diocesi chiamati a rispondere in sede civile.
Secondo la ricostruzione giudiziaria, Guerrina Piscaglia venne uccisa l’1 maggio 2014, giorno della sua scomparsa, a Ca’ Raffaello nel comune di Badia Tedalda (Arezzo). Padre Graziano, spaventato dalle possibili rivelazioni di Guerrina sulla loro relazione, avrebbe agito per farla tacere. La condanna si basa su prove indirette: anomalie nei messaggi inviati dal cellulare della donna (mai ritrovato) e spostamenti sospetti rilevati attraverso le celle telefoniche.
Mentre la famiglia attende giustizia anche in sede civile, resta il nodo della burocrazia a rendere ancora più dolorosa una vicenda già gravata da troppi misteri irrisolti.