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Gruppi di acquisto solidale, cos’è cambiato in questi trent’anni?

Un bilancio dei tre decenni di consumo critico, dai primi gruppi informali fino a oggi, in cui assume una pluralità di forme diverse.

Roma – A che punto sono i “Gruppi di acquisto solidale”? Sono trascorsi 30 anni dalla loro nascita, i famosi GAS, fortunatamente non nocivi. Si tratta di gruppi di acquisto autorganizzati che hanno un approccio critico al consumo e il cui scopo è l’attuazione dei principi di equità, solidarietà e sostenibilità ai propri acquisti. Per fare ciò si utilizza la disintermediazione della filiera. Invece di rivolgersi alla Grande Distribuzione Organizzata (GDO), o ad altre forme di intermediazione, i GAS si rivolgono direttamente ai produttori, scelti previa selezione secondo alcuni criteri, definiti da ogni GAS, tra cui la sostenibilità ambientale, solidarietà per i produttori e la qualità dei prodotti. In questo lasso di tempo, 30 anni, i GAS hanno subito dei cambiamenti.

Se un tempo erano gruppi di singoli e amici che si associavano per compiere acquisti condivisi e rapportarsi coi produttori, oggi sono sorte altre modalità. Ad esempio piccoli empori, realtà che utilizzano la distribuzione online e foodcoop. Quest’ultimi sono gruppi di persone che hanno in comune la condivisione di un consumo responsabile attraverso modelli economici basati sulla cooperazione, autogestione e solidarietà. Malgrado non ci sia un censimento sulle realtà presenti sul territorio, secondo una stima ufficiosa pare che siano, pressappoco, 3mila. Ma, forse, potrebbero essere almeno il doppio, distribuiti soprattutto nelle Regioni del Centro-nord Italia, secondo quando appurato dalla RIES (Rete Italiana Economia Solidale).

Quest’ultima è composta da numerose realtà associate a livello territoriale e nazionale, nate per promuovere le loro iniziative e l’economia solidale. Tuttavia, manca una relazione sul rapporto dei GAS coi loro produttori, sui modi con cui si organizzano e le forme legali che assumono. La realtà evidenzia che diversi gruppi si sono raggruppati in reti e circuiti più grandi, ma faticano a essere fedeli all’idea originaria. E’ emerso che s’investe un tempo minore, perché la fascia di popolazione fino ai 40 anni, facendo lavori precari, ha difficoltà ad avere una presenza regolare. Inoltre, col tempo, si sono affermate diverse modalità di acquisto, come il “Sistema delle Comunità a supporto dell’Agricoltura” (CSA).

In queste realtà il produttore è sorretto dai consumatori stessi, grazie ad un loro finanziamento collettivo. Alcuni gruppi si sono trasformati in cooperative vere e proprie, in cui lo spazio dedicato alla distribuzione dei prodotti, è diventato un piccolo mercato stabile, dove, inoltre, è possibile incontrarsi e stabilire relazioni di comunità. Si sono sviluppate – e non poteva essere altrimenti visto lo sviluppo della tecnologia- diverse piattaforme online. In questo modo la solidarietà è andata a farsi benedire, perché ha annullato, ipso facto, l’interazione di conoscenza tra consumatori e produttori.

L’adesione ai GAS è costituita, principalmente da persone della classe media, mentre hanno difficoltà a partecipare quelle con redditi bassi. Questo costituisce un grosso ostacolo, vista la crescita delle famiglie povere. Si sta cercando di venire incontro alle persone meno abbienti, ad esempio le CSA hanno creato aste anonime in proporzione alle fasce di reddito per permettere l’acquisto condiviso. Oppure offrire prezzi differenti, nel senso che chi ha di più paga un prezzo maggiore e chi di meno più basso. Insomma 30 anni non sono passati invano, anche se si avverte, più di allora, la necessità di fare rete, in modo da poter soddisfare le esigenze degli acquirenti più coscienti e i produttori. E’ importante che crescano le condizioni per l’emersione di meccanismi di distribuzione parallela e complementare rispetto alla GDO. Altrimenti si rischia di perdere del tutto quel poco di umanità rimasto!

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