Il magistrato antimafia Nicola Gratteri avverte: “Nell’era in cui la mafia si è espansa come una multinazionale, non bastano gli sforzi di un Paese, c’è bisogno di coordinamento”. Lo spiega bene nel nuovo libro “Fuori dai confini. La ‘ndrangheta nel mondo“
Milano – Per battere le mafie internazionali, non c’è buona legislazione che tenga: c’è bisogno di un’azione collettiva da parte di tutti i paesi coinvolti. Altrimenti, i mafiosi avranno sempre modo di scappare, nascondere capitali, dirigere dall’esterno. Peccato che in Europa tutti sottovalutino il problema mafioso credendolo una caratteristica esclusivamente italiana. Parola di Nicola Gratteri, procuratore antimafia di Catanzaro, magistrato e scrittore, che ne ha spiegato i motivi lo scorso 20 marzo durante un evento culturale organizzato dall’associazione Wikimafia.
La legislazione antimafia ha fatto passi da gigante, ma non serve a niente se i mafiosi sono liberi spostare capitali e uomini da un paese europeo all’altro senza che nessuno dica nulla. Sono le nuove mafie internazionali, vere e proprie multinazionali del crimine che – paradossalmente – sono più coordinate tra di loro di quanto non lo siano i paesi che le devono combattere.
I mafiosi sono ingegnosi: per comunicare sviluppano piattaforme di messaggistica impossibili da decifrare per le forze dell’ordine – “Fanno volare i messaggi sopra il nostro naso“, spiega Gratteri. A volte si riesce a requisirle, ma spuntano come funghi.
Preoccupazione di Gratteri sulla questione ucraina
Le mafie internazionali hanno contatti continui, per l’appunto. E la ‘ndrangheta ha ovvi contatti con la mafia ucraina, i cui esponenti fanno la bella vita all’estero mentre i loro compatrioti muoiono a migliaia per difendere la propria terra. Qual è il rischio? Che le migliaia di armi spedite a Kiev, spesso prive di GPS e sistemi di tracciamento, vadano a rimpinguare gli arsenali dei mafiosi.
E Gratteri avverte: le mafie guardano già oltre, alla fine della guerra, alla ricostruzione, che permetterà loro di accumulare capitali immensi, inserirsi in investimenti, drenare sovvenzioni.
A chi fa comodo chiudere un occhio?
Ma l’aspetto veramente scandaloso è quello della assoluta cecità degli altri paesi europei di fronte al problema mafioso. Si ritiene che sia un problema tutto italiano, senza rendersi conto che persino paesi insospettabili come l’Olanda sono ricolmi di infiltrazioni di cui ci si rende conto solo ora, dopo decenni.
In Germania, addirittura, certi mafiosi sono graditi: portano capitali e investimenti. Certo, ciò è possibile perché per ora “non danno nell’occhio”: pochi omicidi, stragi, pizzini (anche se succedono anche all’estero, di tanto in tanto). Quelli vanno bene per gli italiani: in Europa si fa business.
Come superare il problema culturale?
Insomma, c’è bisogno di più coordinazione per combattere associazioni criminali sempre più deterritorializzate, tecnologiche, evanescenti. Innanzitutto, con la legislazione: in Italia siamo avanti (in fondo, combattiamo i mafiosi da più di un secolo), mentre l’Europa è, secondo Gratteri, spaventosamente impreparata. Sia a livello legislativo, che culturale.
Il Belpaese potrebbe dare una grossa mano in questo processo – suggerire modelli giuridici, formare magistrati, condividere tattiche e informazioni. Questa la base da cui partire, per poi partire con azioni coordinate più fattuali. Ma è necessario che noi in primis ci adoperiamo per far capire ai nostri partner europei che la mafia, anche quando non spara, è un problema serio. Che drena centinaia di miliardi.