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Giorgia Meloni linguaccia

Governo Meloni, cosa sta funzionando, cosa no: le pagelle

Quasi al quinto mese di legislatura, tocca l’arduo compito di giudicare l’operato del Governo Meloni. Come se la cava con il caro energia, il quadro geopolitico conflittuale, la gestione del consenso?

Roma – Giorgia Meloni ha dimostrato acume politico e astuzia, conquistando palazzo Chigi con una vittoria senza appello. E ha stupito la scelta di governare in prima persona, assumendo la posizione di premier senza un rodaggio agli esteri o agli interni come molti avevano ipotizzato. La premier è in una posizione comoda perché erede dell’opera di Draghi (che ha in larghissima parte replicato), ma non governa esattamente in uno dei periodi storici più facili di sempre. Con le nostre pagelle valutiamo (spietatamente) i vari aspetti dell’azione di governo.

Nonostante tutto, il governo Meloni deve molto a Draghi…

1. Il consenso. Cosa raccontano i sondaggi?

Nell’ambito dell’area di governo, Fratelli d’Italia resta il socio maggioritario e quello che ha meno sofferto il confronto con i fatti. I sondaggi indicano l’approvazione al partito intorno al 30%, cifra praticamente immutata rispetto alla campagna elettorale. La Lega rimane ancorata al 9%, ma tra le sue fila si registrano la maggior parte dei delusi: un elettore verde su due non è contento dell’operato del nuovo governo. Delusione che riflette indubbiamente il carattere astutamente istituzionalizzato (quello che noi abbiamo definito Sovranismo 2.0) del governo Meloni, riscopertosi atlantista, europeista e e tenace sostenitrice di Kiev.

Il grande malato del Centrodestra rimane Forza Italia, in calo netto al 6.5%. Il senescente partito di Berlusconi soffre la ormai scarsa energia residua del leader, e indubbiamente la concorrenza del Terzo Polo, ormai molto più agguerrito nel rivendicare tematiche e posizioni liberali.

Rimane elevata la fiducia al premier, al 44%: saldo negativo che la mette tuttavia sopra Conte, primo leader politico in Italia. Cosa significano questi numeri? Essenzialmente, la premier novella sta riuscendo a dare una impressione di serietà attraverso una politica moderata. Alcuni scivoloni, come la clamorosa bugia sulle accise, non hanno deteriorato eccessivamente il consenso.

Ineleganti, invece, alcune classiche strategie sovraniste per mantenere il consenso: l’accanimento – puramente mediatico e populistico – sulla questione rave, la (inutile) battaglia sul tetto del contante e il probabile sfruttamento del problema anarchico. Voto: 6,5

2. Esteri: questione di reputazione

Il tweet che ha cambiato tutto: la “svolta atlantista” di Meloni.

La questione dell’immagine all’estero era probabilmente la più delicata di tutta la campagna elettorale, per Fratelli d’Italia. La stampa internazionale paventava il ritorno di un pericoloso regime fascista in Europa, puntando il dito sulla passata militanza di Giorgia nell’estrema destra (accuse, bisogna dire, fondamentalmente corrette…).

Giorgia Meloni ha dunque dovuto urgentemente trovare una strategia attraverso cui dare sicurezza ai partner europei, trasmettendo un’immagine di affidabilità e moderazione. La soluzione è stata trovata affermando, improvvisamente, la piena lealtà della Coalizione di Centrodestra all’alleanza atlantica, soprattutto riguardo alla questione ucraina. Dunque, piena prosecuzione della linea Draghi sulle armi a Kiev. Una scelta per certi versi paradossale, considerata l’ambigua vicinanza a Putin degli alleati Salvini e Berlusconi, ma che si è rivelata efficacissima.

Il governo Meloni ha seguito il tracciato di Draghi negli esteri anche nel rafforzamento della partnership strategica con Libia e Algeria, ormai fornitori di gas di alto livello e sempre più intrecciati con le nostre economie. Una politica estera, dunque, se non originale, quantomeno condotta con decisione, dopo il decennio in cui, a causa della fragilità dei governi a trazione PD, la Farnesina era ridotta a uno stato di pietosa inattività.

Il deterioramento dell’asse franco-tedesco ha dunque lasciato spazio a una riaffermazione del ruolo strategico del Belpaese – ancora una volta vitale nella sua posizione di ponte verso il Nordafrica. Washington sorride, le istituzioni europee sembrano compiacenti.

Ricapitolando, ci sono pochi dubbi: gli esteri sono il settore in cui il governo Meloni sta lavorando meglio. Voto: 7

3. Parlando di soldi. Alle prese con l’economia

Qui iniziano i primi tasti dolenti. La fase di crescita aiuta l’economia nazionale, ma non fa certo abbassare i prezzi, creando una situazione difficile per una popolazione già stremata dal caro energia. Un periodo non proprio facilissimo, che il Governo Meloni gestisce tra ambiguità e incertezze.

I margini di spesa sono bassi, e il governo in carica ha disperatamente bisogno dei fondi europei. Al PNRR, bisogna tuttavia rimetterci mano, e Ursula Van der Leyen non ha, ad oggi, dato grandi dimostrazioni di flessibilità. Nonostante i proclami trionfalistici del governo, l’applicazione di molte riforme è in ritardo. La premier spera di risolverla in modo diplomatica, barattando l’approvazione del Meccanismo Europeo di Stabilità (che solo Italia e Croazia non hanno ratificato) con un rimaneggiamento del PNRR. Certamente una strategia curiosa per una politicante che tuonava comizi su comizi contro Bruxelles.

Un primo banco di prova della capacità di gestione dei fondi è il RepowerEu, finanziamento attraverso cui l’Italia ha avuto accesso a 9 miliardi. Fiume di denaro che Meloni vuole spendere in un ambizioso progetto di sovranità energetica, giocato sulla diversificazione dell’import di gas e il potenziamento delle rinnovabili: buoni intenti, ma che non hanno convinto tutti. Soprattutto senza il nucleare.

In tutto ciò, bisogna ammettere che il governo Meloni sta dando prova di avere interiorizzato una certa oculatezza nell’uso del denaro pubblico, che lascia supporre che il sovranismo si sia definitivamente lasciato alle spalle la fase adolescenziale. Oculatezza che si è espressa particolarmente nell’abolizione del RdC. Le prime manovre di ristoro, benché un po’ scopiazzate da Draghi, hanno funzionato molto bene.

Questi ultimi elementi valgono a Giorgia e Giorgetti un sudato 6,5.

4. Giochi di potere. Tra le finezze della politica interna

Scarsa l’attitudine della premier al dialogo pacato.

Un difetto che certamente appartiene alla premier è la scarsa diplomazia – ricordiamo tutti l’esilarante teatrino dei bigliettini del Berlusca. Per ora, la debolezza degli alleati-sidekick consente a Giorgia di agire impunemente da comandante in campo, ma è probabile che il suo carattere scarsamente compromissorio avrà pesanti ripercussioni nei momenti di crisi.

Un caso esemplare è lo scandalo Donzelli-Delmastro, fedelissimi di Giorgina che dalla posizione di sottosegretari alla Giustizia hanno rivelato informazioni riservate sui contatti tra l’anarchico Alfredo Cospito e i boss della mala sul tema del 41-bis. Grave infrazione per cui l’opposizione chiede la testa del duo. Meloni furiosa: “I miei uomini non si toccano“, sbraita – secondo alcuni – in una riunione col ministro Nord.

Un atteggiamento vagamente tribale che ha scatenato l’indignazione degli alleati leghisti, e la totale indifferenza di Forza Italia. Giorgia Meloni potrebbe doversi rendere presto conto che essere socio di maggioranza non implica il potere assoluto, pena brutte sorprese.

Interessante invece il flirt con “l’opposizione costruttiva” del Terzo Polo, che potrebbe puntellare eventuali pugnalate alle spalle da parte degli infidi alleati. Tuttavia, pensiamo che Giorgia debba ancora crescere, e sviluppare un po’ di finezza. 6-

Bilancio

Il governo Meloni sta procedendo in modo serio. Per ora, non si possono trovare falle evidenti o debolezze catastrofiche. Ma le sfide nei giorni a venire sono molte, Giorgia Meloni ha ancora molto da dimostrare e molte occasioni di sbagliare. Ma per ora, possiamo essere indulgenti.

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