In un rapporto della Caritas la fotografia di un Paese dove l’ascensore sociale si è fermato e la povertà è diventata ereditaria. Le famiglie indigenti sono sempre più numerose.
Milano – Come una malattia annidata nel patrimonio genetico, la povertà è tornata a tramandarsi di generazione in generazione, scomoda eredità che condanna figli e nipoti a sopportare la stessa deprivazione patita dai nonni. Istruzione e welfare non sono più in grado di arginare una polarizzazione sociale che si è fatta estrema – ricchi e poveri sideralmente lontani, divisi da un ceto medio già tendente al basso – con la conseguenza di mandare in frantumi il (falso) mito del “tutti uguali ai blocchi di partenza”.
L’ascensore sociale si è fermato, gli ultimi sempre più spesso rimangono tali. E non alla periferia dell’impero occidentale, ma nella sedicente ricca Lombardia, tempio secondo la narrazione imperante di business e opportunità illimitate. Vista dal basso, dalla prospettiva degli ultimi, la “locomotiva d’Italia” invece arranca. Lo dicono i numeri di un rapporto Caritas sulla “povertà intergenerazionale in Lombardia”, analisi di dati ed esperienze riguardanti 1.700 beneficiari (italiani, non senzatetto) dei centri delle 10 diocesi lombarde.
Il confronto tra la condizione degli assistiti lombardi e quella delle loro famiglie di origine ha permesso di misurare il grado di mobilità intergenerazionale delle persone in stato di povertà, riguardo a istruzione, occupazione, condizione economica. Nelle storie di deprivazione intercettate dal circuito Caritas, i casi di povertà ereditaria pesano per il 59,3%. Quasi sei persone su dieci risultano vivere una condizione di precarietà economica in continuità con la propria famiglia di origine, mentre i poveri “di prima generazione” sono il 40,7%. La povertà, dunque, come destino, in una catena di trasmissione difficile da spezzare. E una nuova consapevolezza che diventa anche un monito: la povertà interessa tutti, perché è penetrata nel profondo delle nostre comunità.