Drammatici i dati forniti dall’ultimo rapporto Svimez: in vent’anni il Meridione ha perso più di un milione di residenti, soprattutto under 35.
Roma – Il Mezzogiorno a rischio scomparsa. Il tratto peculiare dell’economia italiana, sin dalla nascita dello Stato unitario, è stato la sua dualità. Ad un nord industrializzato, si è sempre contrapposto un Sud a vocazione agricola e più povero. Una struttura socio-economica così composta non poteva che produrre emigrazione interna ed estera. Ed ogni anno si peggiora sempre di più. Di questo passo si assisterà ad una vero e proprio “deserto demografico” del Sud Italia. Recentemente è stato presentato il consueto rapporto annuale della “Svimez” (Sviluppo Mezzogiorno), un’associazione privata senza fini di lucro, per la promozione e lo studio delle condizioni economiche del Mezzogiorno d’Italia. E’ emerso che la gran parte delle zone meridionale continuano a perdere a ritmo incessante popolazione.
Rispetto all’emigrazione degli anni ’60 del XX secolo composta da bassa qualifica e istruzione, quella a cui si sta assistendo, al contrario è di giovani professionisti qualificati con titoli di studio universitari ed oltre, che vanno a valorizzare e ringiovanire il Nord Italia o l’estero. I numeri diffusi dalla “Svimez” sono crudeli e spietati e lanciano l’allarme su un’area geografica a rischio spopolamento e estinzione. Negli ultimi vent’anni, infatti, ben 2,5 milioni di persone hanno lasciato il Meridione, perdendo, al netto dei rientri, ben 1,1 milioni di residenti. L’esodo ha interessato soprattutto giovani under 35, disegnando uno scenario quasi apocalittico. Il futuro non sembra promettere nulla di positivo, anzi. Le previsioni tendenziali, infatti, indicano che al 2080 possa verificarsi un ammanco di oltre 8 milioni di residenti, pari a più o meno i 2/3 del calo nazionale previsto, equivalente a meno 13 milioni.
La popolazione meridionale che oggi rappresenta il 33,8% di quella nazionale, diminuirà al 25,8% nel 2080. E’ naturale pensare che il Meridione sarà il territorio nazionale con l’età più avanzata, con un’età media di 51,9 anni, superiore di quasi il 2% rispetto a quella del Nord e del Centro. Proprio un’accattivante prospettiva: Sud più vecchio e più povero, per il fatto che le menti più brillanti sono costrette a spostarsi altrove! Una prima interpretazione d’acchito del fenomeno non può non trovare le cause nella mancanza di lavoro e nella ricerca di retribuzioni adeguate ai titoli di studio. Ebbene, anche i numeri confermano questa impressione. Secondo gli ultimi dati Istat (Istituto nazionale di statistica), l’occupazione è cresciuta anche a Sud.
Ma confrontando quelli relativi al lavoro precario tra Nord, Centro e Sud emerge la fragilità del mercato del lavoro meridionale che versa in stato comatoso o quasi. Circa 4 lavoratori su 10, pari al 22,9% hanno un contratto a termine, mentre la quota al Centro-Nord è del 14%. Inoltre, il lavoratori a termine da almeno cinque anni al Sud sono il 23%, l’8,4% al Centro-Nord. Così come, negli ultimi due anni, la quota involontaria dei contratti part time è diminuita su tutto il territorio nazionale. Tuttavia, il divario Nord-Sud è ancora molto forte: ben il 75,1% dei rapporti di lavoro part time al Sud sono involontari, al Centro-Nord, invece, il 49,4%.
Per la cronaca, il part time involontario è la percentuale di occupati che dichiarano di svolgere un lavoro a tempo parziale perché non ne hanno trovato uno a tempo pieno sul totale degli occupati. Ora questa situazione non è frutto del destino cinico e baro che ha preso di mira le popolazioni meridionali. E’ un problema che parte da lontano e che nessuna classe politica, seppur dopo vari e infruttuosi tentativi, è riuscita a risolvere. Mancano serie investimenti pubblici nel lungo periodo e, soprattutto una vera volontà di sconfiggere le varie organizzazioni mafiose, che depauperano il Sud e incrementano la “Borsa” al Nord.